Enciclopedia giuridica del praticante

 

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Reato di truffa

Gli artifici e i raggiri come spia della malafede del deceptante-
Casi in cui tale malafede si rivela anche senza di essi.

Sembrerebbe che: una volta accertato che Rossi ha indotto Bianchi in un errore che, a sua volta, ha portato questi a una decisione, per sé o per altri, dannosa; una volta accertato che Rossi ha fatto ciò dolosamente (nel senso spiegato nel paragrafo precedente), null’altro dovrebbe occorrere per procedere alla condanna di Rossi: l’evento che il legislatore voleva evitare con la minaccia della pena (in definitiva, il danno dal Bianchi subito) si è verificato, e si è verificato in seguito a un comportamento doloso del Rossi: che altro in più dovrebbe occorrere al legislatore per far seguire alla minaccia della pena, la pena stessa?

E, invece, il legislatore questo quid pluris lo richiede e lo indica nella modalità adottata per l’induzione in errore: questa induzione, per procedere alla condanna, deve essere stata fatta con “artifizi o raggiri”. Perché mai? Non è per nulla facile dare una risposta a tale domanda!

Facile è, sì, per gli Studiosi trovare un accordo su che cosa si debba intendere per “artifizi e raggiri”: e infatti vi è una comunis opinio nel vedere, l’artifizio in ogni attività diretta a manipolare o alterare la realtà esterna tramite “la simulazione di circostanze inesistenti o, al contrario, la dissimulazione di circostanze esistenti (25) e il raggiro in un “avvolgimento ingegnoso di parole destinato a convincere: più precisamente, una menzogna corredata da ragionamenti idonei a farla sembrare una verità” (26).

Ma, si ripete, per niente facile, invece, é trovare il perché il legislatore ritiene elemento necessario del reato di truffa l’esistenza di artifizi e raggiri. Ed è tanto poco facile, che non poche volte i giudici tengono in assoluto non cale, nelle loro sentenze, tale elemento (27).

Però noi giuristi, nell’interpretare una norma, non possiamo, certo, partire dall’idea, che certe parole scrittevi dal legislatore, non abbiano un perché nel suo pensiero (anche se certe volte…. è proprio così); pertanto, nel prosieguo, noi prenderemo in esame, per vedere quale è la più ragionevole (e quindi attribuibile a un legislatore, che è doveroso supporre sia un legislatore il più ragionevole possibile) le tre seguenti possibili ratio del perché egli (idest, il legislatore) non ritiene sufficiente, per condannare Rossi imputato di truffa ai danni di Bianchi, ch’egli abbia dolosamente indotto Bianchi a prendere una decisione per sé o altri dannosa, ma richieda oltre a ciò un quid pluris.

 

A- Prima ipotesi (interpretativa) sulla ratio della necessità degli artifizi e raggiri: il legislatore non vuol punire Rossi che è riuscito ad indurre Bianchi in errore, senza usare artifizi e raggiri, perché non ritiene meritevole di tutela penale chi é stato tanto sprovveduto da lasciarsi trarre in errore da una “nuda” menzogna (vigilantibus non dormientibus iura succurrunt).

Noi riteniamo poco ragionevole una tale ipotesi per i seguenti motivi.

IA – Primo motivo: se il legislatore avesse voluto fare, nella società, una sorta di selezione di tipo darwiniano (“È bene per la società che i beni costituenti la ricchezza nazionale vadano solo alle persone sveglie e vispe, che quindi saprebbero sfruttarli al meglio, e non ai tonti e agli sprovveduti”), allora avrebbe dovuto escludere il reato di truffa, non solo nei casi in cui i soggetti passivi sono stati indotti in errore da una nuda menzogna, ma anche nei casi in cui sono stati indotti in errore da una menzogna accompagnata, sì, da artifizi e raggiri, ma da artifizi e raggiri assolutamente grossolani (si pensi alla classica truffa in uso temporibus illis: il lestofante si presenta a un analfabeta narrando che ha sognato la Vergine Santissima eccetera eccetera) (28).

Ma interpretare la norma distinguendo tra artifizi e raggiri grossolani e artifizi e raggiri dotati di vera efficacia captatoria, per poi sostenere che la norma vuole riferirsi solo ai primi, significa compiere un’operazione ermeneutica …..assai ardita; il che non è disdicevole per un giurista (e noi stessi, vedrà lo studioso, non ci lasceremo intimidire dalla lettera della legge), purché egli sia in grado di portare valide ragioni per dimostrare la necessità di tale ardita operazione – il che non ci pare sia nel caso.

IIA – Secondo motivo: l’esistenza nel legislatore di una tale fredda e spietata volontà di selezione sociale è contraddetta da tutto l’impianto, invece solidaristico (verso i deboli, anche mentalmente), della nostra Costituzione (vedi, in primis, il suo art. 38) (29).

Tanto è evidente la non accettabilità della ipotesi (interpretativa) prima enunciata, che, nella sua crudezza, nessuno, che noi si sappia, la propone.

Vero che non manca chi coltiva un’ipotesi affine, ma…meno cruda. Si sostiene, infatti, che, sì, per stabilire se il reato di truffa c’é, o no, occorre por mente alla personalità di chi ne è stato vittima, ma per escludere il reato (e la relativa tutela penale) solo quando la personalità del suo soggetto passivo rivela un difetto di diligenza (Rossi dice a Bianchi che il terreno è edificabile e Bianchi non si preoccupa di controllare andando al Comune), e non di intelligenza o di cultura; come dire che lo Stato non può, per tutelare coloro che avrebbero potuto facilmente autotutelarsi impiegando un po’ di tempo e di fatica, impegnare il lavoro e il tempo dei suoi funzionari (giudici, cancellieri…...), specie se quel lavoro e quel tempo sono notevoli come il lavoro e il tempo che occorre per trattare una causa penale (30).

Noi riteniamo di non poter aderire neanche a tale ipotesi interpretativa, per i seguenti motivi.

IAbis – Primo motivo: potrebbe essere anche giusto punire (con un rifiuto di tutela) Bianchi (il deceptato), che è stato negligente e superficiale nell’autotutelarsi, se tale rifiuto punisse solo Bianchi, mentre ciò di solito non è: Bianchi ha dei familiari, dei potenziali eredi, che hanno interesse che il patrimonio da lui gestito, non sia impoverito da delle truffe: rifiutare la tutela a Bianchi significherebbe rifiutarla anche a tali persone (che nulla hanno fatto per meritare tale rifiuto)

IIAbis – Secondo motivo: giusto sarebbe punire (con un rifiuto di tutela) il superficialone Bianchi, che non ha impiegata la diligenza necessaria nel tutelare come si conviene il suo patrimonio, se ciò non significasse lasciar impunito Rossi, che, aggredendo il patrimonio altrui, dimostra di essere per la società un nemico ben più pericoloso di Bianchi: insomma tra Bianchi e Rossi, chi merita di più la punizione è questi (idest, Rossi) e non quello (idest, Bianchi), mentre, escludendo il reato di truffa, si finisce per lasciare impunito questo (idest, Rossi) e per punire quello (idest, Bianchi). Una tale grossolana ingiustizia non può essere attribuita al legislatore.

IIIAbis – Terzo motivo: logica vorrebbe che, se si rifiutasse la tutela penale a Bianchi, che non ha adottate quelle cautele, che gli avrebbero evitato di cadere vittima di un truffatore, anche si rifiutasse la tutela a Verdi, che non ha adottate le cautele necessarie (chiudere bene l’uscio di casa, lasciato invece aperto, tenere sempre sotto gli occhi alla stazione il bagaglio, lasciato invece incustodito …..) che gli avrebbero evitato di cadere vittima di un ladro. Anche questa è una illogicità che non si può attribuire al legislatore (che, come si sa, punisce il ladro, anche se egli è riuscito a rubare per la negligenza del derubato).

 

B- Seconda ipotesi (interpretativa) sulla ratio della neecssità degli artifizi e raggiri (per l’esistenza del reato di truffa): Il legislatore punisce Rossi A, che ha indotto in errore Bianchi A con artifici e raggiri, e non Rossi B, che ha, sì, indotto in errore Bianchi B, ma senza ricorrere ad artifici e raggiri, perché Rossi A, con l’adozione di artifizi e raggiri dimostra una antisocialità, una pericolosità sociale, che non si può attribuire a Rossi B (31).

Ora, si può consentire che l’adozione di artifizi e raggiri, da parte del deceptante, indichi in lui una personalità antisociale, una personalità cioè che non sa inserirsi armonicamente nel suo ambiente sociale: infatti, una persona armoniosamente inserita nel suo ambiente, una persona che nel suo ambiente vive bene e vuol continuarci a vivere in armonia con tutti e da tutti rispettata, può anche dire delle menzogne, ma se le dice, le dice quando la loro scoperta non la dimostrerebbe inequivocabilmente come una bugiarda: ad esempio, può dire, sì, che il quadro A è un quadro di gran valore (anche se sa che non lo è), ma in quanto può contare sul fatto che, se un’autorità in materia d’arte le contestasse che il quadro nulla vale, lei avrebbe pronta una ritirata dignitosa dicendo, che lei ha parlato come può parlare una persona profana di pittura; può, per fare un altro esempio, omettere di dire a Bianchi, il compratore (in pectore) di un suo locale nel seminterrato, che tale locale non è utilizzabile come autorimessa, ma in quanto sa che, se in un domani le venisse contestato di aver omesso di dire ciò, potrebbe sempre salvare la sua faccia (di persona rispettabile), dicendo “Ma io credevo che il Bianchi volesse usare del locale solo come cantina”. Invece, chi usa un artificio o un raggiro (per indurre altri in errore), quando l’artifizio/raggiro è smascherato come tale, inequivocabilmente viene rivelato come un bugiardo e “perde la faccia” di fronte alla società – cosa che può rischiare che avvenga solo chi vive nella società come un “irregolare”, come un “diverso”.

Tutto questo è senza dubbio vero (e vedremo che ha la sua rilevanza anche per ben comprendere la tersa ipotesi interpretativa che andremo a fare) e tuttavia non si può aderire alla seconda ipotesi interpretativa testè fatta, per i seguenti motivi.

IB – Primo motivo: Mentre potrebbe anche ritenersi che una norma possa configurare come circostanza aggravante di un reato un elemento, che indichi una personalità antisociale del reo, senza venire con ciò a contraddire il principio (da noi già più volte richiamato) che vuole che una persona sia punita solo se, con il suo comportamento, ha leso un bene (ritenuto meritevole di tutela dal legislatore, meglio, dal legislatore costituzionale) e non perché ha una data personalità antisociale; assolutamente in contrasto con tale principio verrebbe a porsi una norma, che considerasse come costitutivo di un reato un elemento in quanto rivelatore di una personalità antisociale. In altre parole si potrebbe accettare che gli artifizi e i raggiri costituissero una circostanza aggravante del delitto di truffa, ma assolutamente non si può accettare, che ne vengano ad essere un elemento costitutivo. E, certo, in sede di interpretazione, non si può attribuire al legislatore una volontà in contrasto con la Costituzione.

IIB- Secondo motivo: Non si capisce perché mai dovrebbe lasciarsi impunito Rossi, che con dolo induce Bianchi in un errore (che potrebbe per Bianchi addirittura essere disastroso), solo perché non ha usato artifizi o raggiri. Si potrebbe (forse) capire che fosse punito in maniera più lieve di chi ha usato artifizi o raggiri, ma non si capisce perché dovrebbe essere lasciato impunito. Una norma che stabilisse ciò sarebbe assurda e… absurda sun vitanda.

IIIB- Terzo motivo: Vi è tutta una molteplicità di casi (e ci riserviamo di subito darne degli esempi) in cui l’accertamento di una circostanza (non costituente artifizio o raggiro) dimostra inequivocabilmente la volontà del soggetto attivo (chiamiamolo, Rossi), che ha detta cosa non vera, di averla scientemente detta per indurre in errore quello passivo (e, di conseguenza, gli fa, coram populo “perdere la faccia” di persona rispettabile); così come accade, né più né meno, al soggetto attivo (chiamiamolo, Verdi) che abbia usato degli artifizi/raggiri quando gli artifizi/raggiri come tali sono smascherati. Cosa per cui non si comprende perché, se il legislatore applica la pena al soggetto attivo in considerazione della sua antisocialità e prende la sua indifferenza a “perdere la faccia” come indice di tale antisocialità, ebbene, si ripete, non si comprende perché allora il legislatore si limiti a considerare reo di truffa solo Verdi (che ha usati degli artfizi/raggiri), e non anche Rossi.

Come può l’interprete attribuire al legislatore un comportamento così incomprensibile e assurdo?

A questo punto, sciogliendo la riserva, portiamo alcuni esempi di quanto sopra detto (idest, di come può, l’accertamento di una circostanza, diversa degli artifizi/raggiri, dimostrare inequivocabilmente la malafede di chi ha detto cosa non vera – tali esempi li mettiamo in grossetto per renderli facilmente rintracciabili, dato che ad essi ci riferiremo ancora nel prosieguo del discorso).

- Primo esempio della non necessità degli artifizi/raggiri per dimostrare la malafede del soggetto agente: Bianchi ha detto a Rossi che vuole comprare quel tale suo terreno per costruirvi una villa e Rossi gliela vende tacendo il fatto che il terreno è inedificabile: l’accertamento della circostanza, che Bianchi ebbe a dire a Rossi che sul terreno voleva edificare, rende inequivocabile la malafede di Rossi: questi non può pensare di salvare la faccia dicendo “Ma io credevo che il Bianchi acquistasse il terreno ad uso di pascolo”.

- Secondo esempio della non necessità degli artifizi/raggiri ecc.: Rossi ha proposto a Bianchi di comprare un orologio spacciandolo per un rolex; l’accertamento che nella sua auto vi è una valigia piena di falsi rolex, rende incontestabile la malafede del Rossi: egli non può pensare di salvare la faccia dicendo “Ma a me l’orologio l’avevano venduto come un rolex”.

- Terzo esempio della non necessità ecc.: Rossi ha proposto a Bianchi di comprare quel quadro qualificandolo come un “Picasso” (mentre ne è solo una cattiva copia): se si accerta che il Rossi è un esperto di quadri, non basta questo a provare inequivocabilmente la sua malafede? forse che egli, un intenditore d’arte, può pensare di salvare la faccia dicendo “Ma io credevo che si trattasse di un Picasso”?

III- Terza ipotesi (interpretativa) sulla ratio della necessità (per ritenere l’esistenza di un reato di truffa) di un quid pluris (che si aggiunga al fatto della dolosa induzione del soggetto passivo a prendere una decisione per lui dannosa).

Nell’introdurre tale terza ipotesi interpretativa, come avrà notato chi, con grande pazienza, ci segue, non abbiamo più parlato di “ratio della necessità degli artifizi e raggiri” ma di “ratio della necessità di un quid pluris” eccetera. A ciò siamo stati costretti dal momento che la ipotesi interpretativa, che veniamo ad introdurre, e, che, lo diciamo subito, è quella che secondo noi più merita accoglimento, ritiene, sì, la necessità di un quid pluris (oltre la dolosa induzione eccetera), ma non ritiene di poterlo ravvisare solo negli artifizi e raggiri: il riferimento della norma agli artifizi e raggiri, secondo tale interpretazione, si spiega col fatto che, da una parte, il legislatore ha sentito confusamente la necessità di questo quid pluris, dall’altra, non avendo chiarezza di idee sul perché di tale necessità, si è lasciato trascinare dalla tradizione ad usare parole fuorvianti.

A questo punto ci rendiamo conto che dobbiamo rispondere a due domande: qual’è il quid pluris di cui stiamo parlando? quale è la funzione che, secondo noi, gli attribuisce il legislatore?

Risposta alla prima domanda: il quid pluris è una circostanza (che può consistere nell’uso di artifizi o raggiri, oppure no) che, una volta accertata, rende inequivocabile la malafede del soggetto, che ha detta cosa non vera (così come avviene quando viene accertata l’esistenza di un artifizio/raggiro – ecco il perché dell’errore nella formulazione della norma in cui è caduto il legislatore –, ma come può avvenire anche in seguito all’accertamento di una circostanza, che non può considerarsi un artifizio/raggiro: ecco quello che è sfuggito al legislatore).

Di tale “circostanza” noi abbiamo già dati esempi parlando, sopra, sub IIIB, del terzo motivo, che rende inaccettabile la seconda ipotesi interpretativa (vedi le parole evidenziate in neretto nelle precedenti righe).

Ed ecco la risposta alla seconda domanda: il legislatore, nell’articolo 640, subordina, la punibilità della “induzione in errore eccetera”, all’accertamento di un quid pluris, e precisamente all’accertamento di una circostanza di fatto che renda assolutamente manifesta e incontestabile la malafede del soggetto attivo, per la stessa ragione per cui in altri articoli (ad esempio nell’articolo 720 C.P.) subordina la punibilità di un reato alla sua flagranza: cioè per limitare l’accesso alla Giustizia penale solo ai casi in cui è decisamente probabile la esistenza di un fatto reato. Cosa resa necessaria, nella materia che stiamo trattando, dal fatto, ben noto, che ogni persona, che cade in errore nella trattazione di un affare, è molto spesso portata ad attribuire tale suo errore ad una scorrettezza della controparte (o, peggio, a cercare di ricattare la controparte con la minaccia, se non di una condanna penale, di un processo penale). Stando così le cose, i tribunali si troverebbero con un ingestibile sovraccarico di lavoro, se non esistesse un setaccio (la necessità di quel quid pluris di cui abbiamo parlato), che selezionasse le querele/ denunce a cui aprire le porte della Giustizia penale da quelle da subito archiviare.(32)