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La gestione di affari altrui

Abbiamo visto nella precedente lezione che il Legislatore attribuisce al proprietario di un bene il potere esclusivo di disporne: solo tu, Tizio, proprietario della casa A con annesso terreno circostante, puoi decidere, se coltivare questo, se riparare il tetto di quella, se pitturarne le facciate in rosso o in giallo.

E qui possiamo aggiungere che, nel secondo comma di un altro importante articolo del codice, l’articolo 1372, il legislatore stabilisce che “il contratto non produce effetto rispetto ai terzi (….)”.

Cosicché si può affermare l’esistenza nel nostro Ordinamento di un principio che vieta l’ingerenza negli affari altrui. E la ragion d’essere di tale principio noi già la abbiamo, sia pure marginalmente, detta: evitare una paralisi nella gestione dei beni costituenti la ricchezza nazionale - paralisi che, nata dai possibili conflitti nella gestione, di coloro che vi fossero contemporaneamente ammessi, finirebbe per diminuire, di tali beni, l’ottimale sfruttamento e godimento.

Però ci sono dei casi in cui l’ingerenza di un terzo nella gestione di un affare altrui, giova, anziché nuocere, all’economia nazionale: esempio classico: la casa di Tizio brucia, e Tizio si trova nell’interno dell’Africa a cacciare tigri ed elefanti: vogliamo dire a Caio, che generosamente sarebbe disposto a combattere contro il fuoco, “Stop, non puoi il violare il sacro principio che solo il proprietario può gestire le sue cose; e se lo violi, guai a te, rischi di incorrere addirittura nei rigori della legge penale (ad esempio, rischi di incorrere nei rigori dell’articolo 635 Cod. Pen. sul danneggiamento, se sfondi una porta per impossessarti di un attrezzo o se calpesti le aiuole dei fiori) e naturalmente, se provochi danni, li devi risarcire”?

Disc. No, di certo: si cercherà invece di incoraggiare Caio a intervenire.

Prima di tutto assicurandolo che non incorrerà in nessuna responsabilità penale e civile anche qualora non esistessero gli estremi dello stato di necessità (art. 54 Cod.Pen) (1): “Tranquillo, Caio, vai pure a spegnere l’incendio, perché così facendo eserciti un “diritto” che la legge ti dà, ciò che ti esenta, per l’articolo 51 C.P. (2), dalle sanzioni penali previste dal reato di danneggiamento e, per la mancanza del requisito della “ingiustizia” del danno, dall’obbligo di risarcimento previsto dall’Art. 2043”.(3)

In secondo luogo, riconoscendogli un rimborso e un risarcimento per le spese e i danni da lui nell’occasione subiti.

Doc. Bravissimo, ma meno bravo del legislatore il quale si fa carico non solo di escludere una responsabilità penale o civile del “gestore” (tale la veste giuridica che verrebbe a rivestire il Caio del tuo esempio) in base agli articoli da te con tanta encomiabile precisione citati, non solo si fa carico (nell’articolo 2031, che subito andremo a leggere) di tenere indenne il gestore dalle spese, ma, pensando al caso che il “gestore” abbia stipulato dei contratti per ben gestire l’affare dello “interessato” o “gerito” come si preferisca chiamarlo, insomma di Tizio, fa obbligo a questi di adempiere le obbligazioni che Caio con il contratto ha assunte.

Disc. Ma perché mai il gestore dovrebbe trovarsi nella necessità di stipulare dei contratti?

Doc. Ma perché i casi in cui é necessaria l’ingerenza di Caio (nell’interesse di Tizio) possono essere i più vari e alcuni di essi possono ben richiedere la stipula di un contratto da parte del gestore. Pensa al caso in cui, nell’assenza di Tizio, occorra stipulare un contratto di appalto per riparare un tetto o un muro che minacciano di crollare, pensa al caso in cui Caio trova Tizio, esamine in mezzo alla strada (caso di c.d. “soccorso spontaneo”), per cui occorra noleggiare un’auto per trasportarlo all’ospedale, pensa al caso in cui Caio trova la figlioletta di Tizio piangente sotto la pioggia e in cerca di un riparo, per cui occorra farla ospitare in un albergo, pensa al caso in cui Caio per evitare un incidente con l’auto di Tizio sia costretto a una manovra di emergenza, che porta allo sfascio della sua auto, così che Caio deve stipulare un contratto con un carrozziere a che la rimetta a posto.

Disc. Ho capito, ma per chiarirmi meglio le idee vorrei leggermi la disposizione di legge, che tali obblighi, al gerito, impone: qual’è?

Doc. E’ il primo comma dell’articolo 2031, che recita:

“(Obblighi dell’interessato) – Qualora la gestione sia stata utilmente iniziata, l’interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui, deve tenere indenne il gestore di quelle assunte dal medesimo in nome proprio e rimborsargli tutte le spese necessarie o utili (….)”.

Disc. Però mi pare di capire, in base all’incipit dell’articolo da te riportato, che, se il Caio del nostro esempio non riuscisse a spegnare l’incendio, non verrebbe rimborsato di nessuna spesa.

Doc. No, hai capito male. A che il gestore abbia diritto al rimborso delle spese ecc. basta l’utiliter coeptum, cioé che al momento in cui gli atti gestori furono compiuti essi apparissero utili: Caio ha cercato di spegnere l’incendio, ma non c’é riuscito: poco importa, ha diritto al rimborso delle spese, se c’erano buone probabilità che l’opera di spegnimento desse buon risultato.

Disc. Dunque Caio che, visto il tetto di Tizio che fa piovere in casa, incarica una ditta di ripararlo, ha diritto di essere rimborsato di quanto, a tale ditta, pagato. Ma se Caio, non ha dato l’appalto, ma, volendo fare economia, ha provveduto di persona alle riparazioni? Non avrà diritto oltre al rimborso delle spese (per calce e piastrelle ecc.), anche a vedersi pagate le ore spese per fare le riparazioni?

Doc. La logica vorrebbe una risposta positiva alla tua domanda, ma secondo alcuni Studiosi ne impone invece una negativa la necessità di evitare il pericolo delle così dette “spese imposte”: Tizio fa il muratore e si trova disoccupato, se vede la facciata della casa di Tizio che avrebbe bisogno di una bella imbiancatura, sarebbe probabilmente tentato di mettersi, lui, a darle il bianco, qualora sapesse che la sua fatica troverebbe una renumerazione, ma ci penserebbe due volte, qualora non avesse a sperare altro che il rimborso delle spese.

Disc. Certo, tenere conto dell’esigenza di evitare le “spese imposte” é cosa fondamentale nella disciplina della “gestione di affari altrui”: ogni persona deve essere libera nella scelta delle spese da fare e tu ne hai ben spiegato il perché nella precedente lezione. E certo tale esigenza trova una sua tutela nel limite posto alla liceità della gestione dal requisito dell’utiliter coeptum e, come or ora tu mi hai spiegato, dall’esclusione di un compenso al gestore. Però una tutela insufficiente; che non impedirebbe, per esempio, a Caio, a cui dispiace vedere maltenuta la facciata della casa del vicino Tizio (anche per ragioni economiche: la vicinanza di una casa brutta svalorizza anche una casa bella) di dare l’appalto di rifare tale facciata a una ditta e poi....di presentare il conto a Tizio.

Doc. E’ così; ed effettivamente ulteriori limiti vanno apposti alla gestione di affari altrui, - limiti ricavabili, con una interpretazione sistematica, basata soprattutto sul primo comma dell’articolo 2028 e sul secondo comma dell’articolo 2031 del Codice Civile, ma anche sull’articolo 54 Cod. Pen., 48 Cod.Civ., 54 Cod.Civ.

E io ritengo che, a conclusione di tale lavorio interpretativo, si possa dire che presupposti di una valida gestione d’affari altrui sono i seguenti:

I - Primo presupposto: il difetto di un divieto, esplicito o implicito, dello “interessato”. Tale presupposto si argomenta dal secondo comma dell’articolo 2031, che recita: “Questa disposizione (idest, la disposizione contenuta nel primo comma dell’articolo, che dà diritto al gestore di ottenere un rimborso spese ecc.) non si applica agli atti di gestione eseguiti contro il divieto dell’interessato, eccetto che tale divieto sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. E’ vero che la disposizione or ora riportata si limita, presa alla lettera, solamente ad escludere il diritto al rimborso delle spese, ma essa va chiaramente interpretata in senso estensivo, nel senso cioé che escluda tout court il “diritto” di gestire un affare altrui contro il divieto dell’interessato (con la conseguenza che Caio, il quale, contro il divieto del dominus Sempronio di potare gli alberi del suo giardino, in questo entra lo stesso, non solo non avrà diritto a un rimborso delle spese incontrate nella potatura, ma sarà responsabile dei reati e degli illeciti civili che, per eseguire la potatura, fosse venuto a commettere (si pensi al reato di violazione di domicilio – art, 614 C.P – per essere entrato nelle “appartenenze” di un luogo di privata dimora, così com’è considerato un giardino).

II- Secondo presupposto: la c.d. absentia domini, intesa però in senso lato, come impossibilità dell’interessato a gestire l’affare (metti perché malato o all’estero). Questo presupposto si argomenta dal primo comma dell’articolo 2028, che recita: “Chi, senza esservi obbligato, assume scientemente la gestione di un affare altrui, é tenuto a continuarla e a condurla a termine finché l’interessato non sia in grado di provvedervi da se stesso”.

III -Terzo presupposto: la “attualità” della gestione, nel senso che questa, se procrastinata, potrebbe non risultare più utile. In altre parole, fino a che si può sperare che la cessazione della absentia dell’interessato avvenga in tempo per permettergli di decidere, lui direttamente, sull’opportunità di gestire l’affare, la gestione del terzo é inammissibile. Questo presupposto si argomenta (sia pure facendo un po’ di violenza alla logica) dal primo comma dell’articolo 51, che recita: “Non é punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta (…)”.

IV- Quarto presupposto: la gestione deve apparire utile. Questo presupposto, come abbiamo già avuto occasione di vedere, risulta dall’incipit del primo comma art. 2031.

V – Quinto presupposto: la gestione deve mirare solo alla conservazione del patrimonio (o, naturalmente, della vita dell’interessato o di un suo parente verso cui questi ha un obbligo di assistenza: sua moglie, suo figlio). Caio non ha diritto a provvedere nella absentia di Tizio a costruire nel giardino di questi una piscina (ancorché l’esistenza di una piscina possa valorizzare il giardino e quindi possa considerarsi come utile), ma ha, questo sì, diritto a riparare il tetto (della villa di Tizio) che rischia di andare in rovina. Questo presupposto si ricava dalla parte finale dell’articolo 48 C.C., che, in caso di “scomparsa” di una persona (e, bada, il caso della scomparsa di una persona é, rispetto ai casi previsti dall’art. 2028, un caso più grave e che di per sé autorizzerebbe una più forte ingerenza nei suoi affari), dà, sì, all’autorità giudiziaria il potere di adottare provvedimenti nell’interesse dello scomparso, ma solo se “necessari alla conservazione del patrimonio dello scomparso”.

Va da sé che, essendo vietate le gestioni non miranti alla conservazione del patrimonio dello “scomparso”, sono con ciò stesso vietati gli atti di alienazione dei suoi beni (atti che vengono autorizzati, ma con particolari cautele, solo nel caso di uno “scomparso” di cui sia dichiarata la “assenza” - vedi meglio l’art. 49 e l’art. 54).

VI- Sesto presupposto: la scientia aliena negotia gerendi, la consapevolezza cioé di stare gerendo un affare altrui e nell’interesse altrui (se Caio si mette a riparare il tetto della casa sapendo che questa é la casa, non sua, ma di Tizio, però fa questo solo perché, preso possesso (abusivo) della casa, vuole dormirci senza che vi piova dentro, non si rientra nell’ipotesi che sto facendo). Questo presupposto (della scientia aliena negotia gerendi) si ricava dall’incipit dell’articolo 2028, e dà la giustificazione di due, diciamo così, vantaggi che il legislatore concede al “gestore”: il vantaggio di essere rimborsato delle spese (vedi meglio, il primo comma art.2031) anche nel caso che la gestione iniziata utilmente, alla fine non si riveli utile e il vantaggio di vedere “moderato il risarcimento dei danni” (vedi il secondo comma dell’art. 2030) conseguenti a un difetto di quella diligenza che, come detto prima, il dominus negotii avrebbe avuto diritto di pretendere da un suo mandatario.

Disc. Quindi non é vero che il gestore, come prima tu hai detto, è esentato dal risarcimento dei danni, da lui provocati durante la sua gestione.

Doc. Effettivamente avrei dovuto chiarire. Bisogna distinguere: il gestore é esente dal risarcimento di quei danni che qualsiasi mandatario, ancorché diligente, avrebbe causato nel contesto della gestione dell’affare (Caio per arrivare prima dove si é sviluppato l’incendio, calpesta un’aiuola di fiori). Mentre é tenuto al risarcimento dei danni, che un diligente mandatario non avrebbe causato (Caio nel potare un ramo che minaccia di cadere, calpesta per distrazione i fiori). In questo secondo caso, però, il giudice può “moderare” l’ammontare del risarcimento da lui dovuto.

Disc. Dalla citazione del primo comma dell’articolo 2028, che tu prima hai fatta, sembrerebbe doversi dedurre che dalla gestione di affari altrui derivano, non solo diritti, ma anche obblighi.

Doc. E’ così. Dalla “gestione” deriva, non solo, come abbiamo or ora visto, un obbligo di eseguirla con la stessa diligenza che si richiede a un mandatario, ma anche l’obbligo “di condurla a termine finché l’interessato non sia in grado di provvedervi da se stesso”.

Disc. Ma perché vincolare, chi ha iniziato a compiere una buona azione... a continuarla (chi mai penserebbe di obbligare Tizio, che ha dato l’elemosina di dieci, a continuare a dare. ..l’elemosina di dieci? ).

Doc. Ma perché certe volte una buona azione, se non continuata, rischia di trasformarsi in una....cattiva azione. Io vedo Sempronio sanguinante sull’asfalto e mi fermo per dargli assistenza: Caio, un altro utente, della strada che, se avesse visto Sempronio bisognoso di assistenza si sarebbe fermato, vedendolo assistito tira dritto. Di conseguenza se a un certo punto io, guardo l’orologio, vedo che faccio tardi a un appuntamento e ….. pianto in asso il povero Sempronio, si può ben dire che io, assumendo in un primo momento l’assistenza di questo, ho fatto, non il suo vantaggio, ma il suo danno. Un danno che dovrò risarcire. Vi é inoltre da considerare che Caio, che subentrasse a Tizio che ha iniziata la gestione, per bene svolgere questa dovrebbe sapere cose che solo Tizio sa (ad esempio, l’esatto contenuto del contratto di appalto da lui stipulato). Anche questo non é un buon motivo per escludere....la staffetta nel corso della gestione? per far quindi obbligo, a chi l’ha iniziata, di continuarla?

Disc. Torniamo un poco indietro. Tu prima hai detto che, presupposto di una lecita gestione, é il difetto di una prohibitio domini; ma, dall’ultima parte del secondo comma art.2031, risulta che, all’esistenza di tale presupposto, é prevista un’eccezione.

Doc. Sì, e l’eccezione prevista è data dai casi in cui la prohibitio é contraria “alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume” (comma 2 art. 2031).

Si rientra in tale eccezione, ad esempio, nel caso che il proprietario di un muro, che minaccia di crollare sulla pubblica via, fa divieto di ripararlo (col rischio che il muro crolli e uccida dei passanti); sempre in tale eccezione si rientra, nel caso che un padre snaturato, non solo lasci il figlioletto privo del necessario per vivere, ma faccia anche divieto a terzi di alimentarlo e soccorrerlo.

La ragione dell’eccezione de qua é intuitiva: il legislatore lascia decidere al dominus negotii l’opportunità di compiere, o no, un atto di gestione, perché parte del presupposto che, la decisione di chi é il più interessato alla migliore gestione di un affare, sia anche quella che più corrisponde all’interesse pubblico. Ma tale presupposto si dimostra fallace in tutti i casi, in cui il dominus negotii non vuole compiere un atto, che lui, il legislatore, ha ritenuto conforme all’interesse pubblico (tanto da fare obbligo di compierlo). Ecco perché in un tale caso il legislatore fa una deroga al principio dell’illiceità degli atti gestori compiuti contro la volontà del dominus.

Disc. Un altro passo indietro. Abbiamo visto quali sono i presupposti per la liceità della gestione; e quindi per avere il diritto: a un rimborso delle spese che questa comporta, a una esclusione del risarcimento dei danni causati senza colpa (ancorché tali danni non si sarebbero verificati, se la gestione non fosse avvenuta), a una riduzione del risarcimento nel caso di danni causati con colpa. E tra tali presupposti tu hai indicato la scientia aliena negotii gerendi. Ma allora, Caio che ha riparato il tetto della casa di Tizio, credendo che fosse la propria casa (metti, perché egli credeva che la vecchia zia fosse morta senza fare testamento, lasciandolo così erede legittimo, mentre invece lo aveva fatto, diseredandolo a favore di Tizio) o Sempronio che, sì, in mala fede ha preso possesso della casa, però compiendovi delle riparazioni e addirittura dei miglioramenti, non possono pretendere nessun rimorso delle spese fatte?

Doc. Sì, anche nei casi da te citati - casi che rientrano nella c.d “gestione impropria”o “anomala” - il gestore (anomalo) potrebbe aver diritto a un indennizzo, ma in base a presupposti diversi da quelli prima da noi considerati. Vedremo ciò trattando dell’istituto dello “arricchimento senza giusta causa”. Però va sottolineato già da adesso, che il gestore anomalo non avrà diritto a un rimborso delle spese fatte per la gestione, se questa, non si é conclusa utilmente (quindi non sarà per lui sufficiente dimostrare lo utiliter coeptum per vantare un diritto a tale rimborsoe non avrà comunque diritto a quella “moderazione” dell’ammontare del risarcimento prevista dal secondo comma art.2030.

Disc. Quale la ragione di tale diversità di disciplina?

Doc. Evidentemente il legislatore, disciplinando l’istituto della negotiorum gestio ha avuto in mente il caso di colui che, in grado di intervenire per gestire l’affare altrui, non ha nessun interesse (egoistico) a tale intervento (come invece sarebbe il caso del vicino, che interviene a spegnere l’incendio sviluppatosi nel fondo del vicino, per impedire che il fuoco si propaghi anche al suo fondo), ma a tale intervento può essere sollecitato solo da un sentimento di altruismo; e, quindi, cerca di creare un incentivo alla “buona azione” eliminando quei timori (timore di non essere rimborsato delle spese in caso di gestione fallita, timore di dover risarcire i danni) che potrebbero costituire, al compimento di tale buona azione, altrettante remore. Giustamente, però il legislatore non ha ritenuto di creare degli incentivi alla gestione, per chi ad essa sarebbe comunque mosso da motivi egoistici.

Disc. Ma quello che tu chiami “gestore anomalo” dovrà risarcire i danni compiuti durante la gestione?

Doc. Se ritiene di gestire un affare proprio (é il caso di Tizio che si crede erede ab intestato, mentre in realtà erede é stato nominato Sempronio), no: ognuno delle sue cose é padrone di fare quel che vuole, anche di distruggerle a martellate. Potrebbe però discutersi se egli sia tenuto a un obbligo di risarcimento nei casi in cui riteneva, sì, di gestire un affare proprio, ma per ignoranza colpevole. Mutatis mutandis merita la stessa risposta il caso del gestore anomalo che, dopo aver iniziata una gestione, non la porta a termine, causando così dei danni.

Disc. Da quanto hai detto consegue che, chi causa dei danni gestendo un affare altrui sapendo che é altrui (ma agendo nel proprio interesse esclusivo) é tenuto al loro risarcimento. Ma é tenuto a tale risarcimento, anche chi gestisce un affare altrui, sapendo che é altrui, ma anche nel proprio interesse (sto pensando la caso del vicino che interviene per impedire che il fuoco si propaghi al suo fondo)? A me tale soluzione sembrerebbe ingiusta e penso che si debba evitarla applicando l’art. 2045 sullo stato di necessità.

Doc. D’accordo con te sull’iniquità di tale soluzione, ma non sull’applicabilità dell’articolo 2045 (mancando, per l’applicazione di tale articolo, l’estremo del “danno grave alla persona). Penso, però, che nella maggioranza dei casi si potrebbe giungere a escludere l’obbligo del risarcimento, applicando l’art. 2044 sulla “legittima difesa”; dato che l’esenzione da responsabilità deve ritenersi, a mio parere, non solo quando si causi un danno all’altrui cosa per difendere la propria o l’altrui persona, ma, come si argomenta facilmente dall’art. 52 C.P., anche quando si rechi un danno all’altrui cosa per impedire un danno alla propria o altrui cosa, e anche se tale danno deriva, non da un comportamento doloso del terzo danneggiato, ma anche da un suo comportamento dovuto a semplice colpa – colpa certamente ravvisabile, salvo la prova del fortuito di cui all’art.2051, in caso di omessa custodia di una res connessa a una abesntia domini.

Note

(1) Art. 54 Cod. Pen.: “ Non é punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona (….).

(2)Art. 51 C.P.: L’esercizio di un diritto o l’adempimento id un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”

(3) Art. 2043 Cod Civ.: “ Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.