Enciclopedia giuridica del praticante

 

Lezioni tratte dal libro III di "diritto civile ragionato"

Lezione XVIII: La risoluzione di diritto

Disc. Nella lezione precedente abbiamo visto che la parte ottiene la risoluzione del contratto, per inadempimento della controparte, mediante una domanda rivolta all’Autorità Giudiziaria. Ma non vi è la possibilità di ottenere la risoluzione non ri-correndo al Giudice ?
Doc.- Sì che c’è e la danno ben tre istituti: la clausola risolutiva espressa, il termine essenziale e la diffida ad adempiere.
La clausola risolutiva espressa è prevista dall’art. 1456, che ( sotto la rubrica “Clau-sola risolutiva espressa”) recita: “ I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.
In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva”.

Disc. Quindi, con la clausola risolutiva, le parti sottraggono al giudice il potere di de-cidere quando, un inadempimento ( anche se parziale ) del contratto, è per loro tanto importante da determinare la risoluzione di questo.
Doc.- E’ così : in caso di clausola risolutiva, è l’importanza che per le parti ha un certo inadempimento. E il giudice non potrebbe sindacare il fatto che le parti abbiano fatto discendere da un inadempimento, che gli pare modesto, la risoluzione, così co-me non potrebbe sindacare il fatto che le parti, in sede di stipula del contratto, abbia-no fatto derivare (apponendo una clausola risolutiva ad hoc – art 1353 ) , da un even-to modesto, la risoluzione.
Disc.- Le parti potrebbero stabilire che la risoluzione del contratto si verifichi anche nel’ipotesi di un inadempimento non imputabile a colpa o dolo del debitore?
Doc. Se l’impossibilità ad adempiere non è imputabile a colpa o dolo del debitore, vuol dire che è imputabile al verificarsi di un evento indipendente dalla volontà del debitore ( che so? un terremoto, uno sciopero e via dicendo ). Quindi, stabilire che la risoluzione si verifichi anche in mancanza di una colpa o di un dolo del debitore, significa dire che la risoluzione si verifichi anche per un evento non dipendente dal debitore. E, se è così, perché mai le parti non potrebbero stabilire ciò? Forse che le parti non hanno il potere di apporre al contratto una clausola risolutiva ( art. 1353 ), che faccia dipendere la risoluzione da un evento non dipendente dalla loro volontà ? Altra cosa dire che le parti possono far discendere, un obbligo risarcitorio del debito-re, da un evento a lui non imputabile. Dire questo sarebbe errato.
Tuttavia è bene avvertirti, se ti stai preparando a un esame, che la risposta che gli esaminatori si aspettano (alla domanda che tu mi hai rivolta) è risolutamente negati-va: no, nella clausola risolutiva non si può fare dipendere la risoluzione da un evento, che non sia imputabile a colpa e dolo del debitore.
Disc.- Le parti potrebbero stabilire tout court che “ qualsiasi inadempimento del con-tratto ne determinerà la risoluzione” ?

Doc. No. Ciò non renderebbe valida la clausola risolutiva, come non la renderebbe valida la semplice affermazione che “l’inadempimento della obbligazione A deve ri-tenersi essenziale” : infatti, il legislatore vuole che nel contratto si dica expressis ver-bis quali sono le obbligazioni, a cui la clausola si riferisce, e dal cui inadempimento deriva la risoluzione del contratto (ecco perché il semplice definire “essenziale” una obbligazione non basterebbe : una obbligazione può essere considerata essenziale, ma non tanto essenziale, che il suo inadempimento porti alla risoluzione ). Tutto questo conformemente alla ratio dell’istituto, che è quella di troncare, ab initio, ogni possi-bile controversia sulla risolubilità del contratto.
Disc.- Se Caio ha convenuta con Tizio la risoluzione del contratto in relazione all’inadempimento dell’obbligazione A, e, poi, Tizio non adempie a una obbligazione B, che non è contemplata nella clausola risolutiva espressa, ma che determinerebbe la risoluzione ai sensi degli artt. 1453 e 1455, può egli domandare la risoluzione ( non naturalmente in applicazione della clausola risolutiva, ma degli artt. 1453 e 1455 ) ?
Doc. Certamente, sì.
Disc. Dal capoverso risulta che, l’effettiva risoluzione del contratto, è rimessa alla volontà della parte fedele, per quale ragione ?
Doc. Per due ragioni : perché i motivi che , alla parte fedele, avevano suggerito di ri-collegare la risoluzione a un dato inadempimento, potrebbero col tempo essere venuti meno; perché non è bene rimettere all’arbitrio di una parte l’esecuzione del contratto, così come, invece, succederebbe, se si stabilisse l’automaticità della sua risoluzione : Tizio, che ha acquistato da Caio l’immobile A per duecento e che si accorge che po-trebbe acquistare con la stessa cifra un immobile migliore, non adempie la obbliga-zione dedotta nella clausola, e così ottiene di liberarsi da un contratto divenutogli fa-stidioso ( certo dovrà risarcire i danni, ma ciò potrebbe convenirgli ).

Disc. Passiamo ora all’esame dell’istituto della risoluzione per inosservanza di un termine essenziale.
Leggo l’articolo 1457, l’articolo che lo riguarda, e che ( sotto la rubrica “ Termine essenziale per una delle parti” ) recita:
“Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte en-tro tre giorni.
In mancanza, il contratto si intende risoluto anche se non è espressamente pattuita la risoluzione”.
Doc. In buona sostanza esistono due tipi di “termini essenziali”. Uno da ritenersi tale, in quanto tale dichiarato expressis verbis dalle parti. L’altro da ritenersi tale, pur nel silenzio delle parti, in quanto la sua inosservanza rende inutile l’adempimento della obbligazione (a cui si riferisce). Per quel che riguarda il primo tipo di termine, penso di potermi limitare a rinviare, mutatis mutandis, a quanto detto a proposito della clausola risolutiva espressa ( di cui, in definitiva, la clausola che prevede l’essenzialità del termine è una sottospecie ). Quindi : il giudice non può sindacare la essenzialità del termine; questo va indicato claris verbis (ed è bene sapere che la Corte di Cassazione non ritiene valida la clausola “entro e non oltre il termine del…”), eccetera.
Per quel che riguarda il secondo tipo di termine, credo di doverti almeno un esempio; che potrebbe essere questo: nel contratto, Tizio, che fa il sarto, si obbliga a fare un abito nuziale per Cecilia, che andrà a farsi mettere l’anello al dito il 15 novembre: chiaro che, se l’abito non viene alla sposina consegnato prima del 15 novembre, è inutile consegnarglielo.
Disc. Ho notato che, anche per la risoluzione conseguente all’inosservanza di un ter-mine essenziale, è esclusa l’automaticità; però con alcune diversità rispetto a quanto prevede l’articolo 1456, prima da noi esaminato : l’articolo 1456, permette alla parte fedele di chiedere la risoluzione anche a molta distanza di tempo dall’avvenuto ina-dempimento; mentre l’articolo 1457 permette di domandare ( non la risoluzione, ma l’esecuzione ) solo in un brevissimo termine, un termine di tre giorni: perché ?

Doc. Evidentemente perché il legislatore ha ritenuto di tutelare l’affidamento della parte infedele, che, scaduto il termine (che la controparte aveva qualificato come es-senziale), ritenendo che la sua prestazione non gli sarebbe stata più richiesta, ha di-sposto altrimenti, delle risorse, che prima aveva destinato alla sua esecuzione.
Disc.- Passiamo a palare dell’istituto della diffida ad adempiere, che è previsto dall’articolo 1454, che ( sotto la rubrica “Diffida ad adempiere” ) recita :
“Alla parte inadempiente l’altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente tale termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto.
Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, salvo che per la natura del con-tratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore.
Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di di-ritto.”
Doc.- Va subito detto che, l’istituto previsto dall’articolo 1454, è radicalmente diver-so da quello previsto dall’art. 1456. E tale diversità nasce dal fatto che la clausola ri-solutiva espressa è un atto bilaterale, che nasce dalla concorde volontà delle due parti, e ciò spiega,sia perché la risoluzione possa essere fatta conseguire anche a un ina-dempimento, che non giustificherebbe la risoluzione, ai sensi degli articoli 1453, 1455, sia perché la risoluzione possa essere fatta conseguire anche a un inadempi-mento non imputabile al debitore ( nei limiti che sopra abbiamo detti ). La diffida ad adempiere, invece, è un atto unilaterale, quindi è logico che possa determinare la ri-soluzione del contratto solo nei casi previsti dagli artt. 1453 e 1455 (imputabilità dell’inadempimento a dolo e colpa del debitore, e “non scarsa importanza” dell’inadempimento – salvo quanto abbiamo detto in sede di interpretazione di questo requisito ).
Disc. Qual’è allora la funzione dell’istituto ora in esame ?

Doc. L’istituto in esame mira evidentemente a permettere alla parte fedele di ottenere la risoluzione del contratto evitando di adire il giudice ( con tuttto quello che ciò comporta in spese e tempo perso ). E infatti l’utilità di adire il giudice sta soprattutto nella possibilità di far risultare l’intervenuta risoluzione nei registri immobiliari : Caio ha stipulato con Tizio la vendita di un immobile e Tizio ha trascritto l’atto nei registri : in tal caso è opportuno fare risultare che tale contratto è stato risolto, per il che occorre una sentenza del giudice ( da cui risulti la risoluzione ). Se di tale utilità la parte ritiene di poter fare a meno ( perché, metti , il contratto ha per oggetto la ven-dita di un quadro, o è un contratto con cui Tizio si obbliga a coltivare quel terreno o a dare il bianco a quella casa… ), allora fare un processo può rappresentare effettiva-mente una spesa inutile, che, qualora se ne abbia la possibilità, è bene evitare . E l’articolo 1454 dà questa possibilità.
Nell’ambito dell’istituto de quo la “diffida”, poi, svolge, più o meno, la funzione che, come abbiamo visto parlando della mora del debitore, svolge la intimazione ad adempiere. Come la “intimazione ad adempiere” ha la funzione di avvisare il debi-tore che, se non adempirà ai suoi obblighi, subirà questo e quello effetto negativo ( dovrà pagare degli interessi, eccetera eccetera ), così la “diffida” mira ad avvertire il debitore che, se non adempirà in quel termine “congruo” ( e comunque non minore di quindici giorni ), che il legislatore impone al diffidante di dare, il contratto si risolve-rà.
Insomma è come se il legislatore facesse alla parte fedele questo discorso : “Io ti concedo la risoluzione, purché l’inadempimento non sia di scarsa importanza, sia imputabile a dolo o colpa, e, dulcis in fundo, tu diffidi ad adempiere il debitore e questi, nel congruo termine datogli, non adempia”.
Disc. Ma il legislatore non impone, tale preavviso, anche nel caso che la risoluzione sia chiesta con una domanda giudiziale?
Doc.- Ciò sembrerebbe logico, dato che, nel terzo comma dell’art 1453, si stabilisce che “Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempie-re”. Però, in nessun articolo, il legislatore espressamente ciò stabilisce.
Ma io ritengo che a tale soluzione si possa giungere con un’interpretazione, del comma terzo in questione, che non consideri tardivo e inammissibile l’adempimento, quando interviene entro il termine dato al convenuto per costituirsi.