Enciclopedia giuridica del praticante

 

Lezioni tratte dal libro III di "diritto civile ragionato"

Lezione XVII– Il diritto alla risoluzione del contratto.

Doc.- Abbiamo visto, commentando gli articoli 146o e 1461, che il legislatore, per-mettendo a Caio, la parte fedele agli impegni presi , che ha stipulato un contratto di vendita con Tizio, di sospendere l’esecuzione della propria prestazione, la tutela, sì, ma in maniera imperfetta : infatti, è vero che Caio è autorizzato a non dare il prezzo di centomila a Tizio, che non gli consegna l’appartamento vendutogli, ma è anche vero che egli è costretto a mettere quei centomila euro, per così dire, in frigidaire ( senza poterli utilizzare per comprarsi un altro appartamento, dei gioielli, un’auto…). Perché questo? Perché egli deve tenersi pronto per la eventualità che la controparte, esegua la sua prestazione e gli chieda il pagamento dei centomila euro.
Ora il legislatore, con la risoluzione del contratto, non solo concede a Caio , di ritor-nare nella libera disponibilità di quanto, invece, avrebbe dovuto dare alla controparte , ma altresì gli concede di ritornare nella libera disponibilità di quanto abbia già dato alla controparte, in esecuzione della sua obbligazione : se Caio avesse già pagato i centomila euro a Tizio, li potrebbe recuperare e spendere come più gli aggrada ; se, egli, poi, non fosse il compratore, ma il venditore, potrebbe recuperare la res venduta ( e quindi, venderla a un terzo, usarla lui stesso, insomma farne quel che più gli piace ).
Tutto ciò lo abbiamo già visto parlando in una precedente lezione degli effetti della risoluzione.
Disc.-Qual’è la disposizione che concede alla parte il diritto di risolvere il contratto ?
Doc E’ il primo comma dell’articolo 1453 – articolo che ( sotto la rubrica “Risolubi-lità del contratto per inadempimento” ) recita :

“Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando una parte non adempie le sue ob-bligazioni, l’altra parte può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto salvo, in ogni caso il risarcimento del danno.
La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può chiedersi l’adempimento quando è stata do-mandata la risoluzione.
Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione”.
Disc.- Capisco che la risoluzione del contratto, almeno in certi casi, costituisce un gran vantaggio per la parte fedele. Ma il legislatore pone dei limiti al diritto di ri-chiederla ?
Doc. Sì, pone dei limiti. E questo per due motivi: primo, perché non vuole che si de-terminino quelle situazioni aggrovigliate che, invece, come abbiamo visto nella pe-nultima lezione, spesso derivano dalla risoluzione di un contratto; secondo
( motivo), perché vuole che la risoluzione abbia solo la funzione di rimedio contro le conseguenze negative, che l’inadempimento di una parte, provoca all’altra : non vuo-le che la parte fedele, in base a un ripensamento, approfitti dell’inadempimento della controparte, per conseguire vantaggi migliori di quelli che il contratto le dava
( Tizio è inadempiente all’obbligo di pagare il prezzo di centomila pattuito per l’immobile acquistato da Caio : questi sa che, pazientando un poco, sarebbe pagato, ma, siccome si è a lui presentato chi gli offre per l’immobile, non centomila, ma duecentomila, approfitta dell’inadempimento di Tizio per risolvere il contratto e vendere al migliore offerente).
Disc.- In quale articolo tali limiti sono previsti ?
Doc.- Nell’articolo 1455, che ( sotto la rubrica “Importanza dell’inadempimento” ) recita: “Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”

Disc.- Ma negare la risoluzione quando l’inadempimento determina una lesione di scarsa importanza del diritto del creditore, non viene, in non pochi casi, a negare l’integrale tutela del diritto del creditore ?
Io penso a questo caso: il mobiliere Caio è disposto a vendere a Tizio quei certi pezzi di mobilia ( un letto, un tavolo e quattro sedie ) solo per cento, non un euro in meno. Tizio, il cliente, accetta e Caio, fidando nella garanzia dello Stato (“ Tranquillo ci penserò io a far sì, che tu ottenga il pagamento del prezzo di “cento, non un euro in meno”), firma il contratto . Però, al momento di ritirare i mobili Tizio è in grado di dare solo novanta e di più non c’è da sperare di prendere, neanche con un’esecuzione forzata , dato che Tizio è povero in canna e beni da espropriare non ce n’ha. Che fa-re? Giovarsi dell’articolo 1460, dire a Tizio “ Non ti dò i mobili finché non mi paghi” ? L’eccezione di inadempimento, tu l’hai detto, è un rimedio temporaneo e non ha senso, se non quando si può sperare nell’adempimento o quando è seguita dalla riso-luzione del contratto. Non ti pare che, in un caso come quello che ti ho fatto, applica-re l’articolo 1455 come se dicesse “ Basta che il debitore paghi la maggior parte del debito a che tu, giudice, non possa concedere al creditore la risoluzione del contrat-to”, significhi rifiutare quella tutela integrale del creditore promessa dal legislatore ( oltre che a contraddire non pochi articoli del codice : penso all’articolo 1181, allo stesso articolo 1460, or ora citato, in quando autorizza l’eccezione anche nel caso di un inadempimento di poco incompleto) ?.
Doc. Chiaramente la risposta positiva alla tua domanda si impone. E chiaramente il giudice deve concedere al creditore la risoluzione del contratto, non solo quando non c’è da sperare che un’esecuzione coattiva del credito porti al suo soddisfacimento integrale, ma anche quando è dubbio che a tale soddisfacimento integrale possa por-tare e comunque il suo esperimento comporterebbe ( per le sua complicazione ) troppo tempo o troppi soldi.
Io proporrei che il giudice, nel bilanciare l’interesse del creditore ad ottenere la riso-luzione e l’interesse ad evitarla del debitore (dato che anche l’interesse di questo na-turalmente va soppesato), adotti ( con molta elasticità ) i seguenti criteri.
Primo criterio. Più la risoluzione comporta danni per la parte inadempiente ( si pensi all’esempio, fatto nella penultima lezione, dell’appaltatore che, se il contratto fosse risolto, dovrebbe demolire l’opera da lui fatta ), più il giudice deve essere restio a ri-tenere la risolubilità del contratto; invece, meno danni la risoluzione comporta ( Caio e Tizio hanno stipulato una compravendita, ma - quando Caio si accorge che l’immobile ha dei vincoli non dichiarati e chiede la risoluzione per l’art. 1489 - nes-suna delle parti ha ancora adempiute le obbligazioni, che dal contratto derivano), e tanto più deve essere proclive a ritenere la risolubilità del contratto.
Secondo criterio- Più è prevedibilmente facile e fruttuosa l’esecuzione coattiva delle obbligazioni di adempiere e di risarcire, gravanti sulla parte inadempiente ( Paperon dei Paperoni, non ha pagato il prezzo di centomila euro, da lui dovuto per l’acquisto di un immobile, ma possiede case e terreni per centinaia di milioni ), più il giudice deve essere restio a ritenere la risolubilità del contratto , più, invece, appare difficile e infruttuosa l’esecuzione coattiva degli obblighi della parte inadempiente ( Tizio, la parte inadempiente, non ha nessun bene da poter utilmente espropriare ) e più il giu-dice deve essere proclive ad ammettere la risolubilità del contratto.
Esempi di quando deve essere negata la risoluzione potrebbero essere : quello dell’imprenditore Caio, che non ha pagato alla scadenza perché si è trovato tempora-neamente sprovvisto di liquidità ( metti, perché a sua volta non pagato da un clien-te), ma che è chiaramente solvibile , o quello dell’appaltatore che consegna la villetta , senza gli infissi, solo per un ritardo nell’ultimazione dei lavori.
Sed de hoc satis. Hai qualche domanda da farmi ancora sul primo comma dell’articolo 1453 ?
Disc.- Due domande . La prima è questa: l’articolo 1453 si applica anche quando l’inadempimento non è imputabile a dolo colpa della parte ?
Doc.- No, in tal caso si applicano gli articoli 1463 e seguenti.
Disc. Seconda domanda : a Caio, la parte fedele, la lettera dell’articolo 1453 dà solo la scelta tra il chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, va dedotto da ciò che la parte non può, al posto dell’adempimento. chiedere il risarcimento dovuto per il caso di ( totale ) inadempimento : “ Tu Tizio, mi devi dieci quintali di grano , eb-bene dammi, invece di questi dieci quintali , i soldi che mi dovresti, se non adempissi al tuo obbligo di darmeli”.

Doc. Evidentemente , Caio , fino a che l’adempimento è possibile, non può chiedere il risarcimento ( totale – invece quello parziale, dovuto metti al ritardo certamente potrebbe chiederlo ) : infatti, ammettere ciò, sarebbe come ammettere Caio a chiedere aliud pro alio ( tu, Tizio mi devi A e io ti chiedo di darmi B ).
Se però l’adempimento non è più possibile ( Pavarotti non si è presentato sulla scena del teatro il giorno pattuito ) , chiaro che il creditore potrà (e altro, del resto, non po-trebbe fare ) domandare il risarcimento ( al posto dell’adempimento che non può più domandare ).
Passiamo al secondo comma dell’articolo 1453 : domande ?
Disc.- Perché Caio, una volta che ha domandata la risoluzione, non può più chiedere l’adempimento ?
Doc.- Perché è giusto che Tizio, la parte inadempiente, abbia la possibilità di pro-grammare la sua attività economica sulla base del presupposto, che non gli verrà più richiesto l’adempimento della sua obbligazione; e questo da subito, senza aspettare la sentenza che risolva il contratto, cosa che invece dovrebbe fare se il legislatore con-cedesse a Caio di chiedere l’adempimento nel prosieguo del processo ( metti, in base ad un ripensamento ).
Disc. Perché il legislatore concede a Caio, che ha chiesto l’adempimento di doman-dare la risoluzione ?
Doc. Perché nuovi fatti intervenuti ( un’istanza di fallimento presentata nel corso del processo, un accanirsi del convenuto in eccezioni che rischiano di prolungare, oltre il previsto, il processo… ) possono far sorgere nella parte fedele la volontà di percor-rere la via della risoluzione del contratto ; e al legislatore sembra che, consentire a ta-le volontà , da una parte, non complichi il processo, essendo i fatti che fondano la domanda di risoluzione sostanzialmente uguali a quelli che fondano la domanda di adempimento, dall’altra, eviti l’ingiustizia di privare la parte fedele dell’unico stru-mento che potrebbe limitare il suo danno, qualora l’adempimento della controparte si rivelasse, nel corso del processo, impossibile ad ottenersi ( Caio ha venduto il suo appartamento a Tizio, che, nel corso del processo per ottenere una sua condanna a pagare il prezzo, si rivela assolutamente insolvente : non è giusto che si dia a Caio almeno il modo di recuperare, domandando la risoluzione, l’immobile da lui sfortu-natamente venduto ? ).
Disc. Può Caio, la parte fedele, proporre la domanda di risoluzione e in subordine la domanda di adempimento ?
Doc.- Negare ciò, sarebbe costringere Caio a una scelta certe volte molto difficile , facendo pagare carissimo ( se Caio domanda la risoluzione, poi non potrà più chiede-re l’adempimento ) un suo eventuale errore nell’operare tale scelta ( errore, d’altra parte, ben possibile data l’opinabilità delle interpretazioni possibili a proposito de-gli articoli, sulla cui base la scelta va fatta : come va intesa “la scarsa importanza dell’inadempimento” di cui parla l’art. 1455 ? tot capita tot sententiae ).
Disc. Ma se il giudice ritiene infondata la domanda di risoluzione presentata da Caio, questi non può più chiedere l’adempimento ?
Doc.- La cosa è discutibile, ma io ritengo che non lo possa richiedere: Tizio che si era obbligato a dare centomila a Caio, una volta visto che questi aveva presentata una domanda di risoluzione, aveva tutto il diritto di pensarla fondata e di disporre libera-mente delle risorse necessarie per l’esecuzione del contratto.
.Disc- Veniamo al terzo comma . Perché non si concede a Tizio, convenuto da Caio con una domanda di risoluzione, di adempiere ?
Doc. Perché ammettere Tizio ad adempiere, significherebbe costringere Caio ad ese-guire la sua controprestazione; ciò che, a sua volta significherebbe costringere Caio a lasciare inutilizzate le risorse, necessarie per eseguire tale controprestazione, fino al passaggio in giudicato della sentenza, che dichiara la risoluzione. Questo mentre è giusto che Caio, possa, così, come può il convenuto, programmare, fin dal mo-mento in cui è proposta la domanda di risoluzione, la sua attività nel presupposto che il contratto non avrà esecuzione.