Enciclopedia giuridica del praticante

 

Lezioni su Diritto di Famiglia - II

Lezione VII: Disposizioni generali sui regimi patrimoniali

Disc. Possono i coniugi mettersi d’accordo per regolare i loro rapporti patrimoniali, stabilendo, ad esempio, che dopo sposati quei certi immobili saranno amministrati da loro congiuntamente, che l’uno dovrà dare all’altro mensilmente tot, e così via?

Doc. Lo possono, purché il loro accordo rispetti certi diritti, che il legislatore ritiene fondamentali e quindi inderogabili.

Disc. Il legislatore indica quali sono questi diritti inderogabili?

Doc. Sì, lo fa con l’articolo 160, che recita: “Gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio”.

In buona sostanza Caio e Caia non possono derogare a quei diritti, che hanno come loro presupposto necessario il matrimonio e che, pertanto, per loro non esisterebbero se non fossero sposati.

Disc. Quindi vanno annoverati tra i diritti/obblighi inderogabili, tutti quelli che abbiamo studiati nei precedenti paragrafi: obbligo di fedeltà, di assistenza, di coabitazione e, per quel che riguarda più direttamente gli aspetti patrimoniali dei rapporti tra i coniugi, l’obbligo di collaborazione e l’obbligo di contribuzione in proporzione alle sostanze e alla capacità lavorativa.

Doc. E’ così; però la inderogabilità di tali diritti/obblighi va rettamente intesa; cioé tenendo presente, che é la stessa Legge, che prevede la loro derogabilità in caso di separazione (e bada bene, non solo nel caso di separazione giudiziale, ma anche in quello di separazione consensuale!); in caso, cioé di patologia del rapporto coniugale. Questo é evidente per l’obbligo di coabitazione, fedeltà, assistenza, collaborazione, ma anche risulta per l’obbligo di contribuzione (ad esempio, dal quarto comma dell’articolo 337ter, che recita “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito....”).

Disc. Ma se i coniugi non possono (nella fisiologia del rapporto matrimoniale) derogare, né all’obbligo di collaborazione, né all’obbligo di contribuire all’appagamento dei bisogni della famiglia e dei figli, a che cosa mai possono derogare? Tolti questi due obblighi, non resta loro ….pane da mordere con i loro accordi.

Doc. Al contrario, ne resta molto: i coniugi, una volta adempiuto il loro obbligo di contribuzione, hanno diritto di disporre liberamente del residuo reddito, che loro é dato dai loro beni e dal loro lavoro e, a prescindere da ciò, essi conservano sempre il diritto di amministrare tutti i loro beni: é su questi diritti che può incidere, per derogarli, un accordo tra i coniugi; e ti pare poco?

Disc. Quindi, se ho capito bene, i coniugi possono liberamente limitare i diritti, che ogni coniuge ha, alla libera disponibilità dei propri redditi e del proprio patrimonio.

Doc. A dir il vero, anche la derogabilità a tali diritti incontra dei limiti; i più importanti dei quali, sono i due seguenti.

Primo: l’accordo dei coniugi non può interdire a uno di loro (o a entrambi) di investire liberamente il proprio redditto (ex bonis o ex labore) per la propria attività economica e professionale – dato che ciò finirebbe per vulnerare il suo spirito d’iniziativa economica e la sua creatività professionale (“Se, io, Caio, sono costretto a concordare con Caia, i codici che posso comprare, i mobili con cui debbo arredare lo studio, ebbene, a far l’avvocato, ci rinuncio!”) e quindi sarebbe lesivo dei diritti della personalità – tutto ciò si argomenta dal capoverso dell’articolo 210, che stabilisce l’invalidità di una convenzione (modificativa del regime della comunione legale), che facesse rientrare nella “comunione”(con conseguente privazione del coniuge del potere di amministrarli autonomamente) “i beni che servono all’esercizio di una professione”.

Mutatis mutandis, lo stesso discorso può ripetersi per in accordo che limitasse in un coniuge la libera disponibilità dei suoi beni “personali” - anche qui argomento ex capoverso art. 210.

Secondo (limite alla derogabilità): l’accordo dei coniugi non può delimitare in maniera diseguale i poteri di disposizione dei due coniugi – ciò infatti verrebbe a contrastare col principio (espresso dal comma 1 dell’art.143) della “parità dei diritti e dei doveri tra coniugi.”

Un’importante applicazione di questa seconda regola si ha nell’articolo 166bis, che consacra il “divieto di costituzione di dote” recitando: “E’ nulla ogni convenzione che comunque tenda alla costituzione di beni in dote”.

Disc. Ma quando si ha costituzione di dote?

Doc. La dote é un antico istituto del nostro diritto; esso prevedeva, il conferimento nel patrimonio familiare di beni da parte della moglie, o di chi per lei, con abdicazione totale di questa alla loro amministrazione, che era riservata solo al marito.

Disc. Ma il divieto di costituzione di dote, implica che la moglie non può dare al marito la procura a vendere e/o amministrare un suo bene.?

Doc. Nessun dubbio che la moglie possa conferire, la procura a vendere un suo bene, al marito, né più né meno di come la potrebbe conferire a un qualsiasi terzo: una diversa soluzione porterebbe al risultato (nefasto) di sfavorire, e non di favorire, la moglie, in quanto la gestione di un patrimonio rende spesso inevitabile l’assegnazione a un terzo del mandato a compiere un negozio, e sarebbe contrario ad ogni buon senso, che la moglie, dovendo ricorrere a un terzo, dovesse preferire, al marito, un estraneo.

Toglie, poi, ogni dubbio, che la moglie possa dare mandato al marito di amministrare, non solamente un suo bene, ma tutti si suoi beni, il disposto del secondo comma dell’articolo 217, che prevede espressamente l’ipotesi che “ad uno dei coniugi (quindi, anche al marito) sia stata conferita la procura ad amministrare i beni dell’altro”.

Disc. Ma allora in che si differenzia l’ipotesi, da te ora riportata, da una costituzione di dote?

Doc. Si differenzia per il fatto che la procura é limitata nel tempo; con più precisione, si può dire che, il conferimento al marito del potere di amministrare uno o più beni, non ricade nel divieto della costituzione di dote, se la procura é revocabile o anche irrevocabile ma solo per un tempo limitato.

Disc. Torniamo al fatto che i coniugi godono di un (sia pure limitato) potere di deroga, in relazione ai (loro) diritti di gestire liberamente il loro (personale) patrimonio e il reddito, che loro residua una volta adempiuto l’obbligo di contribuzione (alle spese familiari); ora é chiaro che, il modo in cui tale potere di deroga viene esercitato e il suo stesso non essere esercitato, potrebbe dar luogo a una (forse troppo vasta) diversità di regimi patrimoniali: i coniugi Rossi potrebbero creare un regime patrimoniale, che pretende il consenso di entrambi coniugi per la disposizione di tutti i beni (prima in esclusiva disponibilità di ciascuno di loro), i coniugi Bianchi, invece, potrebbero creare un regime, in cui il consenso dei coniugi é necessario solo per la disposizione di alcuni di tali beni oppure solo per alcuni atti di disposizione di tali beni e così via: il legislatore non teme che ne nasca il caos?.

Doc. No, egli si limita a disciplinare (negli artt. 167 e segg.) quattro diversi tipi di regimi patrimoniali: quello del fondo patrimoniale, quello della comunione legale, quello della comunione convenzionale, quello della separazione dei beni; e a stabilire nell’articolo 159, che “Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell’artic. 162, é costituito dalla comunione dei beni, regolata nella sezione III del presente capo” (idest, dalla comunione legale a cui poco fa ho fatto cenno).

Ma, se il Legislatore non ritiene di porre limiti alla creatività giuridica delle varie coppie di sposi, egli ritiene però opportuno di vietare loro una tecnica di formulazione del parto di tale creatività; e nell’articolo 160 dispone, che: “Gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali con i quali intendono regolare questi loro rapporti”. Quindi, due coniugi di cittadinanza italiana, non potrebbero limitarsi a scrivere nella loro convenzione matrimoniale “Vogliamo che i nostri rapporti patrimoniali siano disciplinati dalla legge belga”, ma con santa pazienza dovrebbero trasformare le norme della legge belga in clausole contrattuali e riportarle nella loro convenzione; questo perché la legge belga non é una legge a cui essi “sono sottoposti”. Al contrario, il cittadino Chevalier, di cittadinanza francese e la cittadina Cepeda di nazionalità spagnola, potrebbero limitarsi ad esprimere la loro volontà per relationem: “Noi vogliamo che i nostri rapporti patrimoniali siano disciplinati dalla legge francese”; questo perché la legge francese (sia pure in alternativa a quella spagnola) é la legge a cui sono sottoposti (vedi l’art. 30 della L. 31 maggio 1995 n. 218 sul diritto internazionale privato).

Disc. Fa differenza che una legge straniera sia applicabile semplicemente in quanto “legge a cui i coniugi sono sottoposti” (penso al caso dei coniugi Chevalier-Cepeda) o, invece, in quanto riportata in una convenzione matrimoniale (penso al caso dei due italiani, che vogliono che i loro rapporti patrimoniali sia regolati dalla legge francese, e pertanto la trasfondono nella loro convenzione)?

Doc. Certo, nel primo caso la legge verrà applicata dal giudice italiano tenendo conto della sua evoluzione (se il legislatore estero, nel tempo, avrà, metti, abrogato l’articolo X, non applicherà l’articolo X); nel secondo caso, invece, egli applicherà la legge come cristallizzata, diciamo così, nella convenzione, prescindendo cioé dalle modifiche nel frattempo in essa intervenute.

Disc. Quale la ragione per la quale il nostro legislatore non permette ai coniugi quel rinvio per relationem, che chiaramente sarebbe per loro il metodo più pratico e semplice di recepire la normativa straniera?

Doc. Io credo che la ragione, almeno principale, di ciò vada ravvisata nel timore, che un semplice rinvio per relationem esponga i coniugi a scelte non meditate (i coniugi optano entusiasti per il diritto argentino, senza sapere che l’articolo tal dei tali del codice argentino dispone questo e quest’altro): costringere i coniugi a riportare, trasformate in clausole contrattuali, le norme di una legge, che non essendo quella a cui sono sottoposti é presumibilmente da loro poco conosciuta, é un modo per costringerli a farne una più approfondita conoscenza.

Meno valide mi sembrano altre due ragioni, che pur autorevolmente si indicano:

quella di facilitare il giudice nell’applicazione della legge (regolatrice dei rapporti patrimoniali), evitandogliene una ricerca che potrebbe essere laboriosa (ma il giudice italiano non deve già sobbarcarsi a tale ricerca, tutte le volte in cui i rapporti patrimoniali delle parti sono, ai sensi delle norme di diritto internazionale privato, regolati da una legge straniera?!);

quella di facilitare i terzi nella conoscenza della normativa straniera, che regola i loro rapporti con gli sposi, con cui hanno rapporti di affari (ma l’handicap del terzo non sarebbe eliminato sufficientemente dal terzo comma dell’art.30 della già citata Legge n. 218/995, il quale recita “Il regime dei rapporti patrimoniali fra coniugi regolato da una legge straniera é opponibile ai terzi solo se questi ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano ignorato per loro colpa”?! ).

Disc. Ma, come il contenuto, anche la forma delle “convenzioni matrimoniali” é libera?

Disc. Tutt’altro, il primo comma dell’articolo 162, pretende che “le convenzioni matrimoniali debbono essere stipulate per atto pubblico sotto pena di nullità”. Quindi, ahimé, per stipulare una convenzione matrimoniale occorre rivolgersi al notaio.

La relativa spesa il legislatore la evita solo a quegli sposi, che attuano, la loro scelta per il regime di separazione, al momento della celebrazione del matrimonio; infatti il legislatore permette che tale scelta “possa anche essere dichiarata nell’atto di celebrazione del matrimonio” (attenzione! “nell’atto”, cioé nel documento in cui vien fatta risultare la celebrazione, non “all’atto” della celebrazione). Evidentemente il Legislatore ha voluto che la scelta di un regime così popolare, come quello della separazione dei beni, non venisse scartato dagli sposi, solo per una loro difficoltà a sostenere le spese notarili.

Disc. Ma le convenzioni matrimoniali possono essere stipulate solo al momento della celebrazione del matrimonio?

Doc. No, e te lo dice il terzo comma sempre dell’articolo 162, che recita: “Le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo, ferme le disposizioni dell’art. 194”. Quindi, se Caio e Caia, che si sono astenuti dal far risultare nell’atto di celebrazione la loro opzione per il regime di separazione, dopo, anche dopo qualche anno, ci ripensano, sono sempre in tempo a rimediare: potranno andare da un notaio (sobbarcandosi questa volta la relativa spesa) e far disciplinare i loro rapporti dal regime della separazione.

Disc.Il legislatore prevede una forma di pubblicità per le convenzioni?

Doc. Certo che sì; infatti é ben giusto (e opportuno per evitare la vischiosità delle transazioni commerciali) che si dia all’imprenditore Parodi, che deve stipulare un contratto con i coniugi Rossi, la possibilità di sapere per quale dei regimi patrimoniali essi abbiano optato: infatti, la validità o no del contratto, dipenderà dalle norme che disciplinano tale regime (se i coniugi Rossi vivono in regime di separazione dei beni, basterà per la validità del contratto che apponga la sua sottoscrizione solo il sig Rossi, che nei registri immobiliari ne risulta unico proprietario, se essi invece fossero in regime di comunione dei beni, occorrerebbe la sottoscrizione anche della signora Rossi).

Disc. E in che modo il Legislatore riesce a dare la possibilità al Parodi di conoscere il regime adottato dai coniugi Rossi?

Doc. Facendo onere ai coniugi Rossi di far risultare, le convenzioni (matrimoniali) da loro stipulate, a margine del loro atto di matrimonio. Di conseguenza, se il Parodi, visionato tale atto, non vi vedrà annotata nessuna convenzione, dovrà concludere che i coniugi Rossi hanno adottato il regime della comunione dei beni (la cui adozione, come ricorderai, é, per l’articolo 159, per così dire automatica, avviene, o almeno può avvenire, senza necessità della stipula di una convenzione ad hoc); se invece vi vedrà annotata una convenzione.. .se ne andrà a leggere il contenuto dal notaio rogante.

Disc. Ma il contenuto della convenzione (il tipo di regime patrimoniale adottato dai coniugi Rossi: se trattasi del regime di separazione dei beni, del regime del fondo patrimoniale ecc.) non risulta dall’atto di matrimonio?

Doc. No (salvo che il regime prescelto sia quello della separazione dei beni). Tutto questo ti risulta dal quarto comma dell’articolo 162, che recita: “La convenzioni matrimoniali non possono essere opposte ai terzi quando a margine dell’atto di matrimonio non risultino annotati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti, ovvero la scelta di cui al secondo comma” (idest, la scelta del regime della separazione dei beni).

Disc. Quindi, il nostro Parodi, per sapere quale sia il regime adottato dai coniugi Rossi, dopo essere stato all’ufficio di stato civile, dovrà recarsi all’ufficio notarile - beninteso, salvo il caso che dall’atto di matrimonio risulti che i coniugi Rossi non abbiano stipulata nessuna convenzione (nel qual caso dovrà concludere che il regime adottato, sia quello della comunione) o che i coniugi Rossi abbiano optato, al momento della celebrazione (del matrimonio), per il regime di separazione (senza farlo seguire da convenzioni contrarie).

Ma, sapere il tipo di regime adottato dai coniugi Rossi, al nostro signor Parodi certamente basterà, qualora il contratto, che egli intende stipulare, riguarda un bene mobile (non iscritto nei registri); ma gli basterà lo stesso, qualora il contratto riguardi un bene immobile o un bene mobile iscritto nei pubblici registri (un automobile, un aereomobile...)?

Doc. No, se il Parodi, consultato l’atto di matrimonio, vi vedrà indicato, putacaso, che i coniugi, prima, al momento della celebrazione del loro matrimonio, hanno optato per il regime della separazione dei beni, e, poi, hanno stipulata una convenzione; indi, recatosi all’ufficio notarile, leggerà, nella convenzione, che i coniugi hanno optato per il regime di comunione, ebbene ciò non gli basterà, o almeno gli potrebbe non bastare, per soddisfare la sua curiosità di cauto uomo d’affari: gli resterà, o almeno gli potrebbe restare, l’interrogativo se l’appartamento, che intende comprare, rientri, o no, nella comunione dei beni (dato che non tutti gli immobili di proprietà di uno dei coniugi, come vedremo, cadono in comunione).

Disc. E il legislatore gli dà la possibilità di dar risposta a tale interrogativo?

Doc. Sì, perché Egli impone non solo di trascrivere, se hanno per oggetto dei beni immobili o i beni mobili di cui all’articolo 2683 (aereomobili, autoveicoli...), “la costituzione del fondo patrimoniale, le convenzioni che escludono i beni medesimi dalla comunione tra i coniugi, gli atti e i provvedimenti di scioglimento delle comunione (….)”, ma altresì di trascrivere gli atti relativi a beni (della tipologia sopra indicata e) che “successivamente entrano a far parte del patrimonio familiare o risultano esclusi dalla comunione tra i coniugi”. Tutto questo te lo dico in sintesi, se ti fosse necessaria una maggiore precisione dovresti consultare gli artt. 2646 e 2685.

Disc. Comunque, sintetiche o no, le tue parole mi fanno capire che il nostro bravo Parodi, se non sempre molto spesso, se vorrà essere sicuro di comprare bene un immobile, dovrà rassegnarsi a fare tre viaggetti: uno all’ufficio di stato civile, l’altro all’ufficio di un notaio, l’altro ancora all’ufficio dei registri immobiliari.

Ma, tanto per complicarci la vita, poniamo il caso che il Parodi debba stipulare il contratto con un coniuge, i cui rapporti patrimoniali sono regolati da una legge straniera, metti con la signora Cepeda di un esempio precedente, anche in tal caso un sistema di pubblicità gli darà modo di informarsi sul regime patrimoniale della controparte e, diciamo così, sullo status (se rientra nel patrimonio familiare, o no, ecc.) dell’immobile che volesse acquistare?

Doc. Sul punto io ti confesso non sono molto esperto; ma direi di no, perché, la norma di diritto internazionale privato che prevede il caso, (il terzo comma dell’art. 30 L. 31 maggio 1995 n. 218), si limita a stabilire, che “Il regime dei rapporti patrimoniali fra coniugi regolato da una legge straniera é opponibile ai terzi solo se questi ne abbiano avuta conoscenza o lo abbiano ignorato senza colpa. Relativamente ai diritti reali su beni immobili, l’opponibilità é limitata ai casi in cui sono state rispettate le forme di pubblicità prescritte dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano”.

A questo punto io direi di chiudere sulle “disposizioni generali”, saltando le norme di cui agli articoli 163, 164,165,166.

Disc. Che cosa riguardano?

Doc. L’articolo 163, la modifica delle convenzioni matrimoniali; l’articolo 164, la simulazione delle convenzioni matrimoniali; l’articolo 165 e l’articolo 166, la capacità, rispettivamente del minore e dell’inabilitato, a stipulare le convenzioni matrimoniali.

Disc. Ma sì, mi pare che riguardino punti del tutto secondari della disciplina: chiudiamo; non prima però che tu abbia risposto a questa ultima domanda, che mi pare invece importante.

Abbiamo visto che i coniugi possono derogare al regime della comunione legale solo stipulando una “convenzione” in tal senso (art. 159); abbiamo visto che i coniugi debbono stipulare tale “convenzione” solo “per atto pubblico” (primo comma dell’articolo 162), ma tu non mi ha detto ancora...che cosa si debba intendere per “convenzione”: ogni accordo tra coniugi, che ha l’effetto di attribuire (o di togliere) qualche potere o diritto sul patrimonio familiare o personale (dell’uno o dell’altro di loro), va considerato una “convenzione” da stipulare con atto pubblico? ad esempio, il contratto, con cui la signora Rossi intende conferire al marito il mandato a vendere un immobile rientrante nella comunione, va considerato una convenzione, va fatto per atto pubblico?

Doc. No, la signora Rossi potrà dare il suo mandato con una semplice scrittura privata. Infatti si può parlare di “convenzione”, a proposito di un accordo tra coniugi, solo quando le disposizioni di questo, siano destinate a valere (tendenzialmente) fino allo scioglimento del matrimonio e abbiano natura “programmatica”, cioè siano destinate a disciplinare una molteplicità di situazioni (ipotizzabili nel futuro).