Enciclopedia giuridica del praticante

 

Lezioni tratte dal libro III di "diritto civile ragionato"

10 - L’incapacità naturale

Nel caso di un minore o di un interdetto, inabilitato o beneficiario di una amministrazione di sostegno, per determinare se é invalido, o no, il negozio (posto in essere dal minore, dall’interdetto, dall’inabilitato, dal beneficiario), non occorre verificare se essi erano, al momento di porlo in essere, incapaci di intendere o di volere. Anzi, anche se addirittura fosse provato che il minore Rossi o l’inabilitato Bianchi o addirittura l’interdetto Verdi erano, al momento di firmare quel contratto, in uno stato di super-capacità (Rossi, ancorché sedicenne, sarebbe stato in grado di mettere nel sacco il diavolo, Bianchi, ancorché inabilitato, in quel caso particolare – l’eccezione che conferma la regola! - si dimostrò abilissimo uomo di affari....) ebbene l’invalidità del negozio andrebbe lo stesso dichiarata.

Di contro a questa ipotesi ve ne sono però altre in cui, l’invalidità del negozio, andrà dichiarata solo se é provato, che, chi l’ha posto in essere, era, in quel momento, incapace di intendere o di volere. Il Legislatore disciplina queste ipotesi (definite col termine non proprio felice di “incapacità naturale”) nell’articolo 428.

Questo articolo stabilisce l’annullabilità di un atto (si badi, di un atto qualsiasi, non solo di un contratto) quando sussistono le seguenti condizioni.

Prima condizione: dall’atto risulti un “grave pregiudizio” al suo autore. Tale condizione é stabilita, sia per non gravare il tribunale di troppe laboriose indagini (di quelle laboriose indagini che, invece, si renderebbero necessarie se il pregiudizio da accertare fosse lieve) sia per non colpire con una troppo pesante sanzione (quella sanzione sui generis rappresentata dall’annullamento di un contratto – contratto sulla cui base si sono forse già costruiti programmi e fatte spese) una controparte, che non appare meritevole di una particola severità, dal momento che sapeva, sì, del pregiudizio derivante (all’incapace) dall’atto, ma sapeva anche, che solo, di un lieve pregiudizio, si trattava.

Seconda condizione – Per l’annullabilità occorre la “malafede dell’altro contraente”. Tale “condizione” é prevista dal secondo comma dell’art. 428 e si giustifica con tutta evidenza con la tutela del traffico giuridico. A avrebbe titubanza a stringere un accordo con B, se avesse a temere un suo annullamento anche in caso di un’incapacità di intendere o di volere di B, che da lui non potesse essere avvertita (né per la “qualità del contratto”, né per il pregiudizio che a B il contratto apportava, né per un’altra qualsiasi circostanza).

A nostro parere la malafede non richiede la conoscenza del “pregiudizio”, che dall’atto può derivare alla controparte, ma solo della menomazione delle sue facoltà intellettive o volitive: non compete ad A la valutazione se il contratto, che si accinge a firmare con B, é a questo di pregiudizio o no: solo gli compete il dovere di non firmare un atto, che la controparte B non é in grado di valutare, se le é di pregiudizio o no.

Terza condizione. Per l’annullabilità del negozio occorre (e questa é la condizione fondamentalissima!) che il suo autore, al momento di compierlo, fosse “incapace di intendere o di volere” (“qualsiasi” fosse la “causa” di tale sua incapacità!).

E qui si pone il grosso problema: di quale gravità, di quale grado deve essere l’incapacità per consentire l’annullabilità dell’atto?

Sembra logico ritenere che, se una persona ha una tale incapacità da essere interdetta, l’atto da lei compiuto debba essere annullato (purché tale incapacità fosse conosciuta dalla controparte). E in tal senso dispone chiaramente il quarto comma dell’articolo 427.

Noi però riteniamo che si abbia annullabilità del contratto, non solo in tale ipotesi, ma anche quando l’atto sia compiuto a cagione di una disfunzione delle facoltà intellettive o volitive, che abbia ridotta e scemata la normale capacità di intendere o di volere del suo autore (anche se non l’ha ridotta e abbassata fino a un livello, in cui una incapacità di intendere o di volere giustificherebbe l’interdizione): l’alcool ingurgitato da mister Rockefeller ha, sì, scemato visibilmente la sua capacità di intendere o di volere (egli non ha più l’abituale prontezza di memoria e di riflessi, né l’abituale, oculata, riservatezza....) ma non l’ha rimbecillito (anche con l’alcool nel sangue il suo cervello capisce l’affare trattato meglio di un cowboy del Texas e anche dell’uomo medio americano)? Fa niente, il contratto da lui sottoscritto é lo stesso annullabile: la male fede di chi ha profittato della sua menomazione per fargli concludere un affare, che, nel pieno delle sue facoltà, mai avrebbe concluso, va (appunto con l’annullamento del contratto) sanzionata.