Enciclopedia giuridica del praticante

 

La lecita acquisizione della prova

La lecita acquisizione della prova

 

Sommario :1) prova acquisita dalla corrispondenza; 2) prova acquisita con registrazioni; 3) prova acquisita con intercettazioni; 4) prova acquisita con fotografie.

I – Prova acquisita dalla corrispondenza altrui

I – Mettiamo che una moglie gelosa apra la corrispondenza del marito e legga quel che mai avrebbe voluto leggere : e cioé che l'amato coniuge la tradisce con un'altra donna. Può farne fotocopia e portarla al suo avvocato perché la produca in quel processo di separazione, che lei é decisissima a fare ?

Avv. Una domanda interessante la tua. Ma prima di propormela avresti dovuto chiedermi se quella moglie poteva prendere cognizione della corrispondenza del marito.

I – Te lo chiedo ora : poteva ?

Avv. - No, non poteva. Un tempo,sì, si sosteneva che un coniuge potesse controllare la corrispondenza dell'altro coniuge....

I.- Ci si sarà riferiti al coniuge-uomo : quello che aveva la potestà maritale....

Avv.- E' così. Ora non c'é nessuno che sostenga che il marito possa controllare la corrispondenza della moglie. La potestà maritale non esiste più e, come tutti noi sappiamo, la Costituzione solennemente stabilisce, nel suo articolo 29, che “il matrimonio é ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”.

I.- Ma tale eguaglianza non impedirebbe di ammettere un controllo reciproco tra i coniugi-

Avv.- Sì, é vero; ma lo impedirebbe l'alta concezione che ha, del rapporto di coniugio, il nostro Legislatore, che lo vuole fondato – così dice espressamente l'articolo 1 della legge sul divorzio – sulla “comunione spirituale e materiale dei coniugi” : chiaramente non si potrebbe parlare di una “comunione spirituale e materiale” tra due persone, che si spiano a vicenda. Comunque sia, se lo ficchino bene in testa i nostri mariti e le nostre mogli gelose, é assolutamente pacifico che essi non possono controllare la corrispondenza del coniuge. E per meglio imprimerlo nella nostra e loro testa riporto di seguito, quel che si può leggere a pag. 369 del Commentario alla Costituzione di un illustre giurista, il Bibula : Le norme costituzionali dedicate all'ordinamento familiare non giustificano limitazioni della libertà e della corrispondenza da parte di un coniuge nei confronti dell'altro.

I.- Ma un coniuge commette reato se controlla un altro coniuge ?

Avv.- Ovviamente, no, se lo controlla facendo un pedinamento o un appostamento (purché non molesto! ); sì, invece, se, come nell'esempio da te fatto, lo controlla prendendo cognizione della sua corrispondenza. Precisamente, nell'esempio che tu mi hai fatto, cioé di una corrispondenza epistolare, commette, salvo quel che meglio specificheremo subito, il reato di cui all'articolo 616 codice penale – che di seguito riporto.

Art. 616 Cod. Pen. ( Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza ). Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta,ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, é punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni.

Se il colpevole senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, é punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni.

Il delitto é punibile a querela della persona offesa.

Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza.

I.- E' un articolo, mi pare, un po' contorto : non é facile comprendere quando si cada nel reato da esso previsto.

Avv.- Per semplificartene la comprensione tieni presente che l'articolo prevede tre ipotesi di reato.

Prima ipotesi : la distruzione o la soppressione della corrispondenza – ipotesi che a noi qui non interessa.

Seconda ipotesi, la sottrazione o distrazione della corrispondenza ( poco importa se chiusa o aperta ), ma solo , bada bene, per il caso che avvenga “ al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione “ ( quindi se Mariolina sottrae, sì, la lettera scritta dall'amante al marito Marietto, ma solo al fine di nascondergliela, il reato non c'é ).

Terza ipotesi, la “presa di cognizione” di una corrispondenza, bada bene, chiusa, non “aperta”.

Disc. Ma cosa s'intende per corrispondenza “aperta” ?

S'intende quella corrispondenza, che non é stata spedita dal mittente adottando delle cautele ( la più elementare, il suo inserimento in una busta ) dirette a impedirne la cognizione, da parte di chi non sia il suo destinatario.

I.- Quindi se Mariolina si limita a prendere cognizione della cartolina spedita da Alfonsina a Marietto, non commette reato.

Avv.- No, non lo commette . Però, bada, un reato lo commetterebbe se, sussistendo certi presupposti, ne rivelasse il contenuto ad altri.

I.- Ma quali sono questi presupposti che rendono punibile la rivelazione della corrispondenza aperta ?

Avv.- Sono indicati nell'articolo 618, che di seguito riporto.

Art. 618 Cod. Pen. ( Rivelazione del contenuto di corrispondenza). Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'art. 616, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto di una corrispondenza a lui non diretta, che doveva rimanere segreta senza giusta causa lo rivela in tutto o in parte, é punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516.

Il delitto é punibile a querela della persona offesa.

Quindi Mariolina , che presa conoscenza di una corrispondenza aperta, ne rivela il contenuto, sarà punibile a due condizioni : prima, se ne ha preso cognizione “abusivamente” ( pensa a Mariolina che prende visione della cartolina spedita a Marietto rovistando nella sua borsa ); seconda, se la corrispondenza ( a prescindere dal suo contenuto ) “doveva rimanere segreta” ( a chi é rivelata, pensa la cartolina spedita dall'amante Alfonsina a Marieto, che Mariolina rivela al coniuge di Alfonsina ).

I.-Il reato sussiste anche se la lettera, di cui Mariolina prende cognizione rovistando nelle carte del marito, é pronta, sì, per essere spedita ( dal marito ), ma non é ancora stata spedita ?

Avv. - No, i reati di cui agli articoli 616 e 618 riguardano solo la “corrispondenza”; e tale non é considerata la lettera che non é stata ancora spedita o che é stata già ricevuta. Ciò naturalmente non significa che una persona possa rivelare impunemente il contenuto delle lettere ( non costituenti corrispondenza ) e delle altre carte che appartengono ad un'altra persona e che questa vuole mantenere segrete. Assolutamente, no : Mariolina che, trovata sulla scrivania del marito la lettera da lui scritta all'amante Alfonsina, ne rivela il contenuto al di lei coniuge ( cornuto ), non verrà punita per l'articolo 616 o 618, ma per l'articolo 621, che recita :

( Rivelazione del contenuto di documenti segreti ) .Chiunque, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto, che debba rimanere segreto, di altrui atti e documenti, pubblici o privati, non costituenti corrispondenza, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, é punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da € 103 a € 1.032.

Agli effetti della disposizione di cui al primo comma é considerato documento anche qualunque supporto informatico contenente dati, informazioni o programmi”.

I.- Tu hai detto che commette reato chi prende cognizione di una corrispondenza chiusa. Ma lo commette anche se non apre l'involucro, anche se non apre la busta ? Penso a uno che si limiti a prendere cognizione del contenuto di una busta ponendola contro luce.

Avv. Sì, anche in tal caso il reato c'é – ed é pacifico. E , bada, il reato ci sarebbe anche se dentro la busta non ci fosse una lettera, ma, metti, una fotografia o, ancor più semplicemente, un ciuffo di capelli. E , infatti, anche la spedizione di un ciuffo di capelli può essere un fatto che il mittente, adottando delle cautele ( idest, inserimento in una busta del ciuffo ) vuole mantenere segreto.

I.- Torniamo al caso da cui eravamo partiti : Mariolina che, presa cognizione della lettera al marito che rivela la sua infedeltà, ne vuole far valere il contenuto in una causa di separazione. Dopo quello che tu hai detto, mi pare che, se lo fa, si mette nei guai.

Avv.- Se si limita a rivelare il contenuto di una corrispondenza aperta o di un documento non costituente corrispondenza, no. Infatti il nostro codice, come ti risulterà se leggerai più attentamente l'articolo 616 ( nel suo secondo comma ), l'articolo 618 e l'articolo 621 , scrimina ( cioé non ritiene illecita ) la rivelazione di una corrispondenza fatta “per giusta causa” - e una giusta causa certamente é da ravvisarsi nella rivelazione del contenuto di una corrispondenza o di un documento ai fini di far valere un diritto ( nel caso, il diritto alla separazione ).

Il discorso cambia qualora Mariolina intenda produrre fotocopia della corrispondenza: infatti la fotocopiatura della corrispondenza implica la sua presa di cognizione ( cosa che é già di per sé un reato, trattandosi corrispondenza chiusa ) e ( almeno secondo una interpretazione severa dell' art. 616 ) la sua “distrazione” ( cosa che configura un reato anche in ipotesi di corrispondenza “aperta” ).

I- Quindi, tu mi vieni a dire che Mariolina, producendo la fotocopia della corrispondenza, correrebbe il rischio di essere accusata di un reato. Ma mettiamo che Mariolina accetti di correre tale rischio, il suo avvocato può produrre la fotocopia in giudizio?

Avv. Produrla, può senz'altro; non é detto però che il giudice ammetta la fotocopia come prova. Infatti, nel codice di procedura penale, l'articolo 191 stabilisce che le “prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate” ; e tale articolo viene da molti giudici interpretato come se vietasse l'utilizzazione , non solo delle prove acquisite con violazione di una norma del codice di procedura penale, , ma anche di quelle acquisite con la violazione di una norma del codice penale ( cioé, per essere più chiari, con un furto o, come nel nostro caso, con una violazione della corrispondenza ). E tale soluzione viene dalla maggior parte dei giudici adottata anche nel processo civile ( ancorché nel codice di procedura civile manchi un articolo che, come quello or ora citato, vieti l'utilizzazione delle prove “illegittimamente acquisite” ).

I. Quindi sarebbe un azzardo per l'avvocato di Mariolina produrre la fotocopia della lettera.

Avv. Tutta la vita é un azzardo

In- Abbiamo visto che non può essere rivelato il contenuto della corrispondenza intercorsa tra terzi ( salva “giusta causa” ). Nessun divieto però penso ci sia di rivelare il contenuto della propria corrispondenza, della corrispondenza cioé intercorsa tra noi e un terzo.

Avv. - Nessun divieto c'é per la “rivelazione” ( la comunicazione cioé limitata a ben individuate persone : Mariolina dice al suo avvocato che in una lettera il marito le veniva a confessare questo e quest'altro ). Un divieto invece esiste per la “pubblicazione” ( cioé la comunicazione del contenuto della corrispondenza fatta in modo che quisque de populo ne possa venire a conoscenza : Mariolina comunica a un giornale che....). Tale divieto risulta dall'art. 93 L. 22 aprile 1941, n. 633 ( legge sulla protezione del diritto d'autore ), il quale recita :

Le corrispondenze epistolari, gli epistolari, le memorie familiari e personali e gli altri scritti della medesima natura, allorché abbiano carattere confidenziale o si riferiscano alla intimità della vita privata, non possono essere pubblicati, riprodotti , od in qualunque modo portati alla conoscenza del pubblico senza il consenso dell'autore, e, trattandosi di corrispondenze epistolari e di epistolari, anche del destinatario. ( omissis)”.

In. Ma il divieto di pubblicare la corrispondenza allorché abbia “carattere confidenziale o si riferisca alla intimità della vita privata” implica che Mariolina non potrà produrre in giudizio quella tal lettera in cui il marito le confidava di avere contratta una malattia venerea o quell'altra lettera in cui la flglia si lamentava che il padre l'aveva percossa o peggio. Infatti, produrre tale lettera in un giudizio, significa praticamente darla in pasto al pubblico, “pubblicarla”.

Avv. Senza dubbio é così, senza dubbio il legislatore considera una comunicazione del contenuto di una lettera come una sua “pubblicazione” ; però il legislatore tiene conto delle esigenze del diritto di difesa – diritto garantito costituzionalmente – e nell'art. 94, in deroga all'articolo 93 prima citato, stabilisce che “il consenso indicato all'articolo precedente non é necessario quando la conoscenza dello scritto é richiesta ai fini di un giudizio civile o penale o per esigenza di difesa dell'onore o della reputazione personale o familiare”. Quindi la Mariolina del precedente esempio potrà con tutta tranquillità produrre in giudizio le lettere che gli ha scritto il marito e la figlia.

In- Voltiamo pagina : abbiamo parlato della corrispondenza epistolare, parliamo ora della corrispondenza elettronica. Quel che abbiamo detto per quella, vale anche per questa ?

Avv. Certamente, sì : infatti nel suo ultimo comma, l'articolo 616, da noi già citato, equipara la corrispondenza informatica o telematica alla corrispondenza epistolare. Più precisamente tale comma recita : “Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza”.

In- Quindi, se la sospettosissima moglie di Marietto, approfittando di una sua assenza, entra nel suo mail-box e prende cognizione di una e.mail a lui spedita, commette il reato di violazione di corrispondenza, il reato previsto dall'art. 616 ?

Avv- Non é detto : bisogna vedere se la posta elettronica del marito era, o no, protetta.

In. Mettiamoci nel caso più usuale : era protetta nel senso che vi si poteva accedere solo utilizzando una password.

Avv. Allora il resto ci sarebbe, perché la e.mail protetta da una password dovrebbe essere parificata , non alla posta “aperta”, ma alla posta “chiusa”.

In- Ed é rilevante la cosa ?

Avv- Certo, perché abbiamo visto che il reato di violazione di corrispondenza c'é se uno prende conoscenza di una corrispondenza “chiusa”, e non se prende conoscenza di una corrispondenza “aperta”.

In- E nel caso, non raro, che più persone siano in possesso della password ? Ad esempio, della password sono in possesso sia Caio che sua moglie Caia; oppure della password sono in possesso sia il datore di lavoro, Caio, che i lavoratori subordinati, Tizio e Sempronio.

Avv- Ebbene, in tal caso la mailbox si considererà non protetta nei riguardi della moglie Caia, del primo esempio, e dei lavoratori subordinati, Tizio e Sempronio del secondo esempio. Ti dirò anche che la nostra Corte Suprema di Cassazione fu chiamata a giudicare sul caso di un datore di lavoro che aveva letta una e.mail spedita a un suo subordinato, nel computer a lui affidato, ma di cui il datore di lavoro conosceva la password....

In- E che cosa decise la Corte ?

Avv- Decise che il reato non sussisteva, perché la corrispondenza doveva considerarsi “aperta”, dal momento che il datore di lavoro aveva libero accesso alla password.

In- Se io entro nel mail box di una persona senza il suo consenso, commetto il reato di violazione di corrispondenza ?

Avv. Se questo mail box, come é la norma, é “protetto”, senza dubbio commetti il reato di “violazione di domicilio informatico” previsto dall'articolo 615ter...

In. Stop. Prima di proseguire, che mi dice questo articolo ?

Avv- Quest'articolo ti dice che “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la sua volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, é punito con la reclusione fino a tre anni. (….)”.

In. Grazie, continua il discorso.

Avv. Certamente, dicevo, se tu entri in un meil box protetto , commetti un reato, quello appunto di cui all'art. 615 ter; non é detto però che tu commetta il reato di “violazione di corrispondenza” di cui all'art. 616. Infatti nel mail box potrebbe mancare della corrispondenza vera e propria : potrebbe essere occupato solo da quelle e.mail mandate a pioggia ( spam ) e che contengono comunicazioni pubblicitarie o riviste.

In. Ma corrispondenza non é una qualsiasi e,mail ?

Avv. Non per il nostro legislatore penale, che ha accolto il concetto di “corrispondenza” formulato, nel suo articolo 24, dal Regolamento postale ( D.P.R. 24.05.1982 n.655) – articolo che recita : “Si considera corrispondenza epistolare qualsiasi invio chiuso, ad eccezione dei pacchi, e qualsiasi invio aperto che contenga comunicazioni aventi carattere personale e attuale”. E certamente una rivista o una comunicazione pubblicitaria mancano del requisito della “personalità”.

In- Abbiamo visto che non può essere rivelato il contenuto della corrispondenza intercorsa tra terzi ( salva “giusta causa” ). Nessun divieto però penso ci sia di rivelare il contenuto della propria corrispondenza, della corrispondenza cioé intercorsa tra noi e un terzo.

Avv. - Nessun divieto c'é per la “rivelazione” ( la comunicazione cioé limitata a ben individuate persone : Mariolina dice al suo avvocato che in una lettera il marito le veniva a confessare questo e quest'altro ). Un divieto invece esiste per la “pubblicazione” ( cioé la comunicazione del contenuto della corrispondenza fatta in modo che quisque de populo ne possa venire a conoscenza : Mariolina comunica a un giornale che....). Tale divieto risulta dall'art. 93 L. 22 aprile 1941, n. 633 ( legge sulla protezione del diritto d'autore ), il quale recita :

Le corrispondenze epistolari, gli epistolari, le memorie familiari e personali e gli altri scritti della medesima natura, allorché abbiano carattere confidenziale o si riferiscano alla intimità della vita privata, non possono essere pubblicati, riprodotti , od in qualunque modo portati alla conoscenza del pubblico senza il consenso dell'autore, e, trattandosi di corrispondenze epistolari e di epistolari, anche del destinatario. ( omissis)”.

In. Ma il divieto di pubblicare la corrispondenza allorché abbia “carattere confidenziale o si riferisca alla intimità della vita privata” implica che Mariolina non potrà produrre in giudizio quella tal lettera in cui il marito le confidava di avere contratta una malattia venerea o quell'altra lettera in cui la flglia si lamentava che il padre l'aveva percossa o peggio. Infatti, produrre tale lettera in un giudizio, significa praticamente darla in pasto al pubblico, “pubblicarla”.

Avv. Senza dubbio é così, senza dubbio il legislatore considera una comunicazione del contenuto di una lettera come una sua “pubblicazione” ; però il legislatore tiene conto delle esigenze del diritto di difesa – diritto garantito costituzionalmente – e nell'art. 94, in deroga all'articolo 93 prima citato, stabilisce che “il consenso indicato all'articolo precedente non é necessario quando la conoscenza dello scritto é richiesta ai fini di un giudizio civile o penale o per esigenza di difesa dell'onore o della reputazione personale o familiare”. Quindi la Mariolina del precedente esempio potrà con tutta tranquillità produrre in giudizio le lettere che gli ha scritto il marito e la figlia.

In- Voltiamo pagina : abbiamo parlato della corrispondenza epistolare, parliamo ora della corrispondenza elettronica. Quel che abbiamo detto per quella, vale anche per questa ?

Avv. Certamente, sì : infatti nel suo ultimo comma, l'articolo 616, da noi già citato, equipara la corrispondenza informatica o telematica alla corrispondenza epistolare. Più precisamente tale comma recita : “Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza”.

In- Quindi, se la sospettosissima moglie di Marietto, approfittando di una sua assenza, entra nel suo mail-box e prende cognizione di una e.mail a lui spedita, commette il reato di violazione di corrispondenza, il reato previsto dall'art. 616 ?

Avv- Non é detto : bisogna vedere se la posta elettronica del marito era, o no, protetta.

In. Mettiamoci nel caso più usuale : era protetta nel senso che vi si poteva accedere solo utilizzando una password.

Avv. Allora il resto ci sarebbe, perché la e.mail protetta da una password dovrebbe essere parificata , non alla posta “aperta”, ma alla posta “chiusa”.

In- Ed é rilevante la cosa ?

Avv- Certo, perché abbiamo visto che il reato di violazione di corrispondenza c'é se uno prende conoscenza di una corrispondenza “chiusa”, e non se prende conoscenza di una corrispondenza “aperta”.

In- E nel caso, non raro, che più persone siano in possesso della password ? Ad esempio, della password sono in possesso sia Caio che sua moglie Caia; oppure della password sono in possesso sia il datore di lavoro, Caio, che i lavoratori subordinati, Tizio e Sempronio.

Avv- Ebbene, in tal caso la mailbox si considererà non protetta nei riguardi della moglie Caia, del primo esempio, e dei lavoratori subordinati, Tizio e Sempronio del secondo esempio. Ti dirò anche che la nostra Corte Suprema di Cassazione fu chiamata a giudicare sul caso di un datore di lavoro che aveva letta una e.mail spedita a un suo subordinato, nel computer a lui affidato, ma di cui il datore di lavoro conosceva la password....

In- E che cosa decise la Corte ?

Avv- Decise che il reato non sussisteva, perché la corrispondenza doveva considerarsi “aperta”, dal momento che il datore di lavoro aveva libero accesso alla password.

In- Se io entro nel mail box di una persona senza il suo consenso, commetto il reato di violazione di corrispondenza ?

Avv. Se questo mail box, come é la norma, é “protetto”, senza dubbio commetti il reato di “violazione di domicilio informatico” previsto dall'articolo 615ter...

In. Stop. Prima di proseguire, che mi dice questo articolo ?

Avv- Quest'articolo ti dice che “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la sua volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, é punito con la reclusione fino a tre anni. (….)”.

In. Grazie, continua il discorso.

Avv. Certamente, dicevo, se tu entri in un meil box protetto , commetti un reato, quello appunto di cui all'art. 615 ter; non é detto però che tu commetta il reato di “violazione di corrispondenza” di cui all'art. 616. Infatti nel mail box potrebbe mancare della corrispondenza vera e propria : potrebbe essere occupato solo da quelle e.mail mandate a pioggia ( spam ) e che contengono comunicazioni pubblicitarie o riviste.

In. Ma corrispondenza non é una qualsiasi e,mail ?

Avv. Non per il nostro legislatore penale, che ha accolto il concetto di “corrispondenza” formulato, nel suo articolo 24, dal Regolamento postale ( D.P.R. 24.05.1982 n.655) – articolo che recita : “Si considera corrispondenza epistolare qualsiasi invio chiuso, ad eccezione dei pacchi, e qualsiasi invio aperto che contenga comunicazioni aventi carattere personale e attuale”. E certamente una rivista o una comunicazione pubblicitaria mancano del requisito della “personalità”.

2) Prova ricavata da registrazioni

 

AB : Se il signor Rossi mi telefona, io posso registrare la sua telefonata mentre è in corso ?

Avvocato : Ti rispondo con un’altra domanda : Tu puoi prendere appunti su quel che ti viene dicendo il signor Rossi per telefono ?

AB : Chiaramente, si.

Avvocato: E allora, se il Legislatore Ti permette di prendere appunti in aiuto alla memoria, non ti può certo proibire di ricorrere a quel perfetto aiuto alla memoria che è la registrazione. Questo è in buona sostanza il ragionamento che convince i nostri Giudici a ritenere la legittimità della registrazione di una telefonata da parte di chi ha fatta o ricevuta la telefonata stessa.

AB: “ Ma una differenza, tra gli appunti e la registrazione, c’è . Gli appunti che prendo non costituiscono prova di niente, mentre la registrazione viene a costituire con tutta evidenza prova della telefonata. E io posso registrare la telefonata che il commendator Rossi mi ha fatto proprio per poi dimostrare che il Commendator Rossi mi ha detto questo e quest’altro. Insomma la registrazione può servire a fabbricare un’arma contro il commendator Rossi ; il che a lui può anche non far piacere.

Avv. : Ciò è vero ; ma dal momento che la lesione all’interesse del commendator Rossi per il segreto della telefonata nasce , non al momento della sua registrazione , ma al momento in cui la registrazione viene a terzi fatta ascoltare , quel che giustamente hai osservato, pone solo la questione se e in che limiti la registrazione della telefonata può essere fatta pervenire a terzi.

AB .D’accordo . Dimmi allora quando mi è lecito far pervenire ad altri la registrazione che ho fatta di una telefonata e quando no. Più in particolare e per venire a quanto più interessa i nostri lettori : dimmi se io potrei far avere alla polizia o alla magistratura il supporto della registrazione

Avv. Senz’altro, si. E tale risposta positiva si ricava chiaramente , anche in mancanza di una norma che espressamente ciò consenta , dai principi del nostro Ordinamento giuridico.

Inn. – A quali principi ti riferisci ?

Avv A quelli che trovano espressione, prima di tutto nell’articolo 24 della Costituzione e, poi, nell’articolo 616 Codice penale e nell’articolo 94 della Legge sui diritti d’autore.

Da tali articoli, già da noi visitati nella precedente lezione, risulta, mi pare chiaramente, che il destinatario di una corrispondenza telefonica può rivelarne il contenuto; se ciò serve alla propria difesa in un processo penale e all’esercizio di un proprio diritto nel processo civile o penale.

Inv.- Quando parli di esercizio di un diritto, ne parli in senso ampio, naturalmente.

Avv. Naturalmente : il nastro registrato della telefonata può essere prodotto, non solo per far valere una nostra pretesa giuridica , ma anche per opporci a una pretesa giuridica altrui : Tizio domanda al giudice di condannare Caio al pagamento di una somma e Caio produce la registrazione della telefonata da cui risulta che tale somma già gli è stata pagata.

Inv. Proseguiamo nel nostro discorso: se tu ritieni che il destinatario di una telefonata possa dare alla Polizia il nastro o il dischetto in cui è stata registrata o incisa la telefonata, tu devi anche ritenere che il destinatario di una telefonata ne possa permettere l’ascolto alla polizia quando la telefonata è ancora in atto : il commendator Rossi mi telefona ed io autorizzo la polizia ad allacciarsi al mio apparecchio telefonico e a sentire quel che il commendator Rossi mi dice.

Avv. - Così è, secondo me : io riterrei perfettamente lecito l’ascolto della polizia e perfettamente utilizzabile in giudizio il nastro registrato, anche in mancanza di autorizzazione all’ascolto da parte della Autorità Giudiziaria. Però, bada, io mi metto qui nel caso – che è poi quello che interessa soprattutto i nostri ascoltatori – di chi permette al terzo l’ascolto al fine di raccogliere una prova da poi produrre in giudizio.

In.- Da quel che capisco allora tu non riterresti lecito che Tizio permettesse a Caio di ascoltare la conversazione che ha con Sempronio, quando ciò, non soddisfacesse una sua esigenza difensiva davanti all’Autorità Giudiziaria : ad esempio servisse solo a soddisfare la morbosa curiosità del terzo, di Sempronio : è così ?

Avvocato – E’ così : in via generale , salvo quindi il caso che voglia precostituirsi una prova in giudizio, una persona non può permettere a un terzo di ascoltare la sua conversazione telefonica, a meno che il suo interlocutore telefonico a ciò consenta.

In.- Ma chi lo dice questo ?

Avv.-. -Lo dice il comma tre dell’articolo 131 del codice privacy che recita :“L’utente informa l’altro utente quando , nel corso della conversazione, sono

utilizzati dispositivi che consentono l’ascolto della conversazione stessa da parte di altri soggetti”.

I – Però da tale disposizione sembrerebbe che uno, neanche per esigenze difensive,

possa fare ascoltare a un terzo le sue telefonate !

Avv. Così effettivamente vorrebbe la lettera dell’articolo ; ma la letterale formulazione dell’articolo va interpretata restrittivamente in base ai principi risultanti dall’articolo 24 della Costituzione e dagli articoli 24 e 26 del Codice Privacy.

Però non dobbiamo troppo preoccuparci di quel che permette e non permette l’articolo 131 ; io l’ho citato soprattutto per completezza espositiva, ma in realtà é…la classica tigre di carta, in quanto per la sua violazione nessuna sanzione è prevista.

I - Se è così , torniamo al caso che più interessa ai nostri ascoltatori : il caso di Tizio che fa ascoltare la sua conversazione telefonica alla polizia. Tu ci dicevi che in tal caso l’operato di Tizio è perfettamente lecito; ma, ammettendo la sua liceità, non si verrebbe a dare alla Polizia un facile escamotage per aggirare il divieto di intercettazione in mancanza di autorizzazione della Autorità Giudiziaria ?

Avv.-. No , perché il divieto di intercettazione vuole tutelare l’interesse al segreto della conversazione quando entrambi i conversanti ignorano l’intercettazione in atto: Bianchi telefona a Rossi e all’insaputa sia di Bianchi sia di Rossi la Polizia prende conoscenza della loro conversazione. Non vi è intercettazione , invece , quando uno dei colloquianti, metti il Rossi, consente alla polizia l’ascolto.

AB Però, d’accordo che in tal caso l’intercettazione non lede l’interesse del Rossi, in quanto questi ha rinunciato a mantenere segreto quel che telefonicamente dice, però lede sempre l’interesse di Bianchi a mantenere segreto alla polizia quel che dice al Rossi.

Avv.- Si, però tale interesse non è tutelato : abbiamo visto infatti che il Rossi farebbe cosa perfettamente lecita se registrasse la conversazione e portasse il nastro alla polizia.

Inv. – Si, qualora dal nastro risultasse una prova utile per la sua difesa in giudizio. Mentre non è detto che, dall’ascolto della telefonata a me diretta, possano risultare le prove del mio diritto : il commendator Rossi potrebbe dirmi per telefono delle cose perfettamente irrilevanti ai fini della prova del mio diritto. Peggio ancora, il commendator Rossi potrebbe dirmi delle cose che, perfettamente irrilevanti per far valere il mio diritto, sono perfettamente e purtroppo per lui rilevanti per incastrarlo in un processo penale : la polizia ascolta, mi dice grazie e porta il nastro dal pubblico ministero : dove sono andate a finire le garanzie della difesa ? sotto i piedi!

Avv Pazienza : io non posso mica rinunciare ad acquisire le prove del mio buon diritto, solo per timore di venire con ciò a sacrificare le garanzie difensive del commendator Rossi ! Però, effettivamente, la tua osservazione ci porta al nocciolo del problema : che è dato dal pericolo che , autorizzando la polizia ad ascoltare una telefonata insieme al suo destinatario , si vengano ad eludere le norme che

condizionano all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria le intercettazioni. E io ritengo che, per porre un argine a questa possibilità di elusione, si dovrebbe fare una distinzione.

In. Quale?

Avv. Si dovrebbe distinguere tra il caso in cui il Bianchi, destinatario della telefonata, consente l’ascolto alla Polizia , per acquisire una prova migliore e più forte del suo buon diritto, e il caso in cui consente l’ascolto della polizia solo per permettere a questa l’acquisizione della prova di un reato commesso da un certo commendator Rossi. In questo secondo caso non si può parlare di “registrazione”della telefonata, come tale lecita anche in mancanza di autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, ma di vera e propria intercettazione, come tale illegittima, se non autorizzata dalla magistratura.

Quindi in definitiva io mi rendo conto delle tue perplessità; e posso dirti che sono perplessità condivise da molti autorevoli studiosi, i quali senza tanti distinguo danno risposta negativa sia al problema , da noi ora esaminato , della possibilità o meno di una intercettazione ancorché consentita da un comunicante , sia anche al problema , affine a quello da noi ora esaminato, della possibilità di utilizzare il cosiddetto “agente attrezzato per l’ascolto”.

AB Cosa si intende per agente “attrezzato per l’ascolto” ?

Avv.- Per agente “attrezzato per l’ascolto” o per agente “attrezzato per la ripresa fotografica”, si intende quella persona, poco importa se appartenente alla polizia o privata, che si presenta a un colloquio nascondendo strumenti atti all’ascolto o alla ripresa fotografica: la polizia vuole incastrare il mafioso tal dei tali e manda a un colloquio con lui Pinco Pallino che nasconde nella borsa un microfono : e così quel che dice il mafioso viene registrato e documentato. Ebbene si sostiene che il nastro così registrato non sarebbe utilizzabile in giudizio.

AB Cambiamo argomento : tu hai detto che, secondo opinioni molto autorevoli, il comportamento del funzionario Pinco Pallino, che ascolta una conversazione tra Bianchi e Rossi col consenso del Rossi, è illecito; hai ancora detto che è illecito il comportamento di Rossi che, su sollecitazione o per fare un favore alla polizia si presenta in casa di Rossi, con un registratore nascosto nella borsa, per raccogliere le confessioni che Bianchi immancabilmente gli farà. Bene, ma che significa tutto questo ? significa che il Rossi, che ha consentito all’intercettazione o si è prestato alla abusiva registrazione, commette un reato ?

Avv. Così vorrebbe la logica e una rigorosa applicazione del diritto. Infatti, se la registrazione di cui stiamo parlando fosse realmente da qualificarsi come intercettazione, in essa dovrebbe vedersi realizzato il reato di cui all’art. 617 Codice penale: il reato cioè di cognizione fraudolenta di una comunicazione telefonica. E,

nel consenso del Rossi all’intercettazione, dovrebbe vedersi realizzato un concorso in tale reato. Così come, nella registrazione insidiosa del Rossi in casa del Bianchi, dovrebbe vedersi realizzato il reato di cui all’art. 615bis : il reato cioè di interferenza illecita nella vita privata altrui. Mentre, nell’invito o sollecitazione del funzionario di polizia a commettere tale reato, si dovrebbe ravvedere un concorso in tale reato di interferenza.

AB Mentre così , mi pare di capire , non é : perché questo ?

AVV. Tu mi domandi perché né il funzionario di Polizia né il suo, diciamo così, collaborazionista Rossi vengano puniti . Ti rispondo : formalmente non vengono puniti perché si vuole ravvedere nel loro comportamento l’adempimento di un dovere, se non reale, putativo. Sostanzialmente perché i nostri giudici sentono che sarebbe ingiusta la loro condanna e quindi sono disposti ad arrampicarsi sugli specchi per non effettuarla.

AB Ma il risultato della loro intercettazione o registrazione potrà essere utilizzato in giudizio ?

Avv.- No, se fosse rigorosamente applicata la legge e in particolare l'articolo 271 del Codice di procedura penale, il quale recita : “I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli artt. 267 e 268 comi 1 e 3”.

AB A questo punto viene naturale domandarti : dal fatto che l’articolo 271 stabilisca la inutilizzabilità di una intercettazione illecita, si deve dedurre che, per il nostro Ordinamento, tutte le prove illecite sono inutilizzabili ? facciamo dei casi concreti : la signora Rossi, folle di gelosia e ben decisa a far pagare all’amante i numerosi tradimenti, gli sottrae dal portafoglio un documento che indiscutibilmente lo crocifigge come bancarottiere . Oppure, ipotesi non più di furto ma di appropriazione indebita, la signora Rossi fa la fotocopia di un documento, che incautamente l’amante le ha lasciato in custodia e che ne prova la responsabilità metti per un omicidio. Ebbene in tutti questi casi la prova raccolta sarebbe inutilizzabile (in quanto acquisita commettendo un reato) ?

Avv.- Secondo me, e, quel che soprattutto conta, secondo la maggior parte della Dottrina e della giurisprudenza non è così.

Inv. Cioè la prova raccolta con un reato sarebbe utilizzabile. ?

Avv. Si, sarebbe utilizzabile. E ciò perché, l’articolo 271, è, sì, espressione del principio espresso dall’articolo 191 C.P.P, che recita : “Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate”. Però tale principio va limitato nella sua portata…

Inv. In che senso?

Avv. Nel senso di applicarlo solo alle prove acquisite in violazione di norme procedurali e non sostanziali: in parole più chiare, in violazione di norme poste dal codice di procedura penale e non dal codice penale.

Inv. Ma perché si dovrebbe interpretare così restrittivamente tale principio.?

Avv. Perché tale principio si pone in netta antitesi con quella che è la vocazione del processo penale: il processo penale punta allo scopo dell’accertamento della verità. Quindi è con ripugnanza e solo in via del tutto eccezionale che il legislatore del processo penale può rifiutare una prova, per un motivo che non sia relativo alla sua inaffidabilità. C’è lì bella e chiaramente registrata la voce di Caio che dice di essere lui l’autore della rapina di cui nel processo si discute: come puoi tu, legislatore, imporre al giudice di tapparsi metaforicamente le orecchie e di non utilizzare tale fondamentale prova?

Inv.- Eppure il legislatore lo fa : nell’articolo 271 dichiara chiaramente inutilizzabili le intercettazioni eseguite nei casi non consentiti dalle legge.

Avv. Si lo fa ma come estrema ratio, per porre un freno alla naturale tendenza degli organi investigativi a eseguire delle intercettazioni, anche quando non ce ne sarebbe strettamente bisogno. Per cui anche l’articolo 271 va interpretato nel senso che si riferisca solo alle intercettazioni compiute in violazione alle norme del codice di procedura penale. Non in violazione delle norme del codice penale.

Inv Quindi una intercettazione fatta da un privato qualsiasi, dalla signora Rossi, ancorché fatta in violazione dell’articolo 617 Cod. Pen. sarebbe utilizzabile ?

Avv. Secondo me, si. Però devo dire che la mia è una tesi , secondo me, conforme al buon senso e alla logica, ma non da tutti accettata.

Inv. Quindi, vieni al dunque…

Avv. Quindi, se io fossi un avvocato a cui il cliente porta come prova un nastro frutto di un’intercettazione illecita, ebbene, io il nastro lo prenderei e lo produrrei in giudizio, fidando nel buon senso del giudice.

Inv. E credo anch’io che il giudice, se di buon senso, non potrebbe rifiutare la prova. In effetti vi è una diversità fondamentale tra, il ritenere la inutilizzabilità delle intercettazioni illegittime fatte dalla polizia e dal PM, e nel ritenere la inutilizzabilità delle intercettazioni fatte da un privato. La inutilizzabilità delle prime, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, non potrebbe che portare che all’assoluzione di un colpevole, mentre la inutilizzabilità delle seconde, il più delle volte, potrebbe portare alla condanna di un innocente. E non è differenza di poco conto!

Avv E quel che si è detto, per l’utilizzabilità di quella prova costituita da un’intercettazione, vale a maggior ragione per l’utilizzabilità di una qualsiasi altra prova raccolta dal privato con violazione di una norma di diritto sostanziale .

In. Tu ti sei riferito fino ad adesso ad un procedimento penale; ma quanto hai detto vale anche per un processo civile ? metti il creditore Rossi che è riuscito a sottrarre, diciamo pure più chiaramente, a rubare il documento che prova il suo credito, può portarlo come prova, prova valida naturalmente, davanti al giudice civile ?

Avv. Ti dirò che, un caso del tutto simile a quello da te fatto, fu sottoposto al giudizio della Corte di cassazione prima della guerra, e la cassazione decise che no : la prova illecitamente acquisita non poteva essere presa in esame dal giudice civile. E tale decisione negativa ebbe il plauso del grande Carnelutti. Però ti dirò anche che, invece, autorevoli studiosi della procedura civile, come il Denti e il Cappelletti, ritengono la utilizzabilità nel processo civile delle prove illegittimamente acquisite.

In. Ma mi pare di capire che quella della utilizzabilità delle prove illecite nel processo civile è una tesi contrastata e discussa.

Avv. Tutto è discutibile e discusso in diritto. La prova si produce, ancorché illecitamente acquisita, e poi…sarà il giudice a decidere se utilizzarla o no. Ma anche se dicesse “no”, la prova se la sarebbe vista e stanne sicuro ciò non mancherebbe di lasciare in lui una traccia, un segno che lo condizionerebbe al momento di fare la sentenza.

Inv.- Cambiamo argomento. Finora abbiamo parlato prescindendo totalmente dal Codice della privacy; in quanto ci siamo messi nell’ipotesi che le registrazioni siano effettuate da una persona qualsiasi per uso personale. E quando un dato o una notizia viene raccolto per uso personale il codice della privacy non si applica. Lo dice chiaramente il suo articolo 5. Però una registrazione può essere fatta anche da un investigatore privato, quindi per uso non personale, e allora ?

Avv. E allora bisogna por mente allo scopo per cui la notizia, il dato viene raccolto o , per usare la terminologia del codice “trattato”; e in più bisogna vedere se si tratta di un dato “ comune” o di un dato “ sensibile”.

Inv. Ma che è questa distinzione tra dati “comuni” e dati “sensibili” ?

Avv. Questa distinzione nasce dal disposto della lettera lettera d, primo comma dell’art. 4 Codice privacy che recita : ”( Sono) dati sensibili, i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni carattere religioso, filosofico , politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”

 

Inv E naturalmente i dati “comuni” sono quelli che non sono “sensibili”. Ma perché è rilevante tale distinzione ?

 

Avv. Perché, se si tratta di dato “comune”, per “trattarlo” e, poi, permettimi l’espressione, riversarlo in un processo , non occorre fare avere all’interessato la così detta “informativa” e non occorre ottenere il suo consenso.

 

Inv Da che cosa risulta questo?

 

Avv.-Risulta dagli articoli 23,24,13 del Codice della privacy.

In particolare dal primo e terzo comma dell’articolo 23 risulta che il trattamento personale è ammesso solo con il consenso dell’investigato e che tale consenso ( occhio al comma terzo!) va preceduto dalla cosiddetta “informativa”. Informativa il cui contenuto viene detto dall’articolo 13. Poi, dai commi 4 e 5 dell’articolo 13 e dalla lettera f dell’articolo 24 , risulta che né l’informativa né il consenso sono richiesti quando il trattamento è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive ….o, “comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria”

 

In. Questo per quel che riguarda i dati “ comuni” e per quel che riguarda i dati “sensibili” ?

 

Avv. Per i dati sensibili le cose si fanno un po’ più complicate, infatti il Legislatore subordina il trattamento di tali dati, non solo al consenso dell'interessato – bada consenso scritto e non solo orale, come invece basta per i dati comuni – ma altresì all’autorizzazione del Garante.

 

Inv. Ma neanche quando il trattamento dei dati è finalizzato a una difesa in giudizio, si può fare a meno del consenso dell’interessato e dell’autorizzazione del Garante ?

 

 

Avv. Del consenso dell’interessato, si, in tal caso si può fare a meno; ma no dell’autorizzazione del garante.

 

In. Un bel guaio, se penso alla perdita di tempo e alla fatica che occorrerà per ottenere tale autorizzazione!

 

Avv. No, al contrario, si tratta di un guaio molto relativo, infatti il Garante dà un’autorizzazione di carattere generale all’uso dei dati sensibili ai fini della difesa di un diritto : è un’autorizzazione limitata nel tempo, che però viene sempre rinnovata.

 

Quindi, praticamente, l’autorizzazione all’uso dei dati sensibili non occorre né chiederla né ottenerla. Se mai il guaio, o meglio la difficoltà, può nascere per due categorie di dati sensibili : i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.

 

Inv In che senso ?

 

Avv. Nel senso che per il loro trattamento – oltre naturalmente all’autorizzazione del Garante – occorre il consenso dell’interessato, a meno che diritto, che si fa valere o si intende far valere in giudizio, sia , cito testualmente la legge “ di pari rango a quello dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale o inviolabile”.

 

Inv. Quindi io potrò far valere la omosessualità di Tizio in una causa di divorzio ma non in una causa per risarcimento danni alle cose.

 

Avv. Hai capito benissimo

 

IN. Vogliamo a questo punto vederci e far vedere ai nostri ascoltatori le disposizioni di legge da te citate.

 

Avv. Sicuramente , sono quelle riportate di seguito

Art.26 – Garanzie per i dati sensibili

1. I dati sensibili possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante (………..)

I dati sensibili possono essere oggetto di trattamento anche senza consenso previa autorizzazione del Garante (….......) quando il trattamento è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 200 ,n.397, o, comunque, per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Se i dati sono idonei a rivelare lo stato di salute e l vita sessuale, il diritto deve essere di rango pari a quello dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”.

 

Inv. Quindi, io, investigatore privato, posso procedere a investigazioni relative a un procedimento penale senza dover sottostare all’assurdità di chiedere il consenso dell’investigato.

 

Avv. Calma. Tu investigatore puoi procedere a tali investigazioni solo se, primo, sei un investigatore “autorizzato”, ben s'intende autorizzato dall'Autorità amministrativa ,secondo, se hai ricevuto , per tali investigazioni, incarico da un avvocato.

 

Inv. Da un avvocato qualunque?

 

Avv. No, da un avvocato che abbia a sua volta avuto l’incarico a svolgere attività difensive, preventive o no che siano.

 

Inv Ma che cosa s’intende per investigazioni “preventive’?

 

Avv. S’intendono quelle investigazioni che l’avvocato , come recita l’articolo 391 nonies del codice di procedura penale – può svolgere “ per l’eventualità che si instauri un procedimento penale”. Caio teme di essere sottoposto a procedimento penale e si prepara dando incarico ad un avvocato di tutelarlo per l’evenienza e l’avvocato a sua volta dà o meglio può dare incarico a un investigatore di raccogliere delle prove e di fare indagini.

 

Inv Ottenuto tale incarico, io, investigatore privato, potrò svolgere tutte le indagini che voglio?

 

Avv. Assolutamente no: potrai svolgere solo quelle indagini che il codice di procedura agli articoli 391bis e seguenti ti permette : come il conferire con le persone in grado di dare informazioni ( senza però poter richiedere loro dichiarazioni scritte : a ciò è legittimato solo il difensore !), il fare ispezioni e prendere fotografie e fare rilievi - ma bada, solo in luoghi pubblici o aperti al pubblico : in luoghi privati non potresti.

 

Inv. Sono limitazioni non da poco; ed esistono tali limitazioni anche per le indagini volte a raccogliere prove per un diritto da far valere in un processo civile ?

 

Avv. No: e nel caso non ti occorrerà neanche l’incarico di un avvocato.

 

Inv. Meno male! E su questa buona notizia penso possiamo chiudere la nostra chiacchierata sulle registrazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3) Prove raccolte con intercettazioni

 

Avv.- Diciamo per prima cosa quando si ha una intercettazione. Si ha una intercettazione quando una persona capta, prende conoscenza delle comunicazioni tra due altre persone a loro insaputa. Esempio : il sig. Parodi capta la conversazione tra il sig. Bianchi e il sig. Rossi.

Ora è chiaro che ogni persona ha interesse, ci tiene ad aver la possibilità di tenere segrete, cioè fuori dalle intercettazioni di terzi, le comunicazioni che fa ad altri..

E tale interesse viene infatti tutelato dalla nostra Costituzione nell’art. 15.

Si badi, però, che il Legislatore costituzionale, stabilendo la inviolabilità di ogni comunicazione, non pretende che sia punito e comunque ritenuto illecito ogni comportamento che capta, intercetta una comunicazione : Egli pretende solo che alle persone sia garantita la possibilità di fare comunicazioni in segretezza. E in effetti vedremo che le cosiddette intercettazioni tra presenti sono del tutto lecite.

 

AB. Ma qui dovresti spiegarci cosa si deve intendere per “intercettazioni tra presenti”, se no, non ti riusciamo a seguire.

 

Avv.- Giusto . In relazione all’argomento delle intercettazioni si devono distinguere tre categorie di comunicazioni: prima categoria: le comunicazioni fatte a mezzo telefono, telegrafo, apparecchi informatici o telematici , o anche con altri mezzi che per loro natura , salvo quindi eventuali loro manipolazioni, danno a chi li usa affidamento di poter comunicare in segretezza; seconda categoria : le comunicazioni ambientali, cioè le comunicazioni fatte in ambienti che ne dovrebbero garantire la segretezza, in quanto in essi i terzi non possono entrare se non con il consenso dei comunicanti ( si pensi alla conversazione in un ufficio o in una casa di abitazione); terza categoria, le cosiddette comunicazioni tra presenti, categoria che è data dalle comunicazioni che le persone si fanno al bar, su un autobus, per strada, insomma in un ambiente non protetto.

 

AB - Perché non ci spieghi subito perché e in che limiti sono lecite le intercettazioni di questa terza categoria di comunicazioni ?

 

Avv.- Queste intercettazioni sono lecite per il motivo che ho accennato poco fa : cioè perché il nostro legislatore si propone solo di garantire alle persone la possibilità di comunicare in segretezza. Ora, se il sig. Bianchi vuole comunicare in segretezza al sig. Rossi di vendere le tali azioni o che la Beppa fa le corna al marito , tale possibilità ce l’ha: basta che dia al Rossi un appuntamento nel suo ufficio o nella sua casa. Nelle quattro mura della casa o dell’ufficio il Legislatore effettivamente gli garantisce la segretezza; idem se fa la comunicazione per telefono, telegrafo, sistema informatico o telematico. Ma se il sig Rossi, non vuole utilizzare quelle forme e quei canali di comunicazione protetti contro le intercettazioni e preferisce fare le sue comunicazioni bello e comodo bevendosi un caffè al bar , non può pretendere che il

 

legislatore gli garantisca la segretezza della comunicazione, colpendo con sanzione quei cittadini, che aguzzano le orecchie per sentire quel che di così interessante dice al Bianchi .

 

AB Perché mai non si dovrebbero dissuadere, con la minaccia di una sanzione, le persone di curiosare sentendo i discorsi altrui ?

 

Avv. - Ma perché sarebbe eccessivo : la gente va nei luoghi pubblici per vedere il mondo, per curiosare : è questa una naturale esigenza dell’uomo. Non la si può reprimere, se no la città diventa un carcere!

 

AB Però almeno si dovrebbe punire chi adotta apparecchiature sofisticate per ascoltare i discorsi altrui : pensa all’agente investigativo che, stando a quattro o cinque tavoli di distanza da quello in cui parlottano il Bianchi e il Rossi, con una qualche sofisticata apparecchiatura riesce a captare la loro conversazione.

 

Avv. No, ritengo invece che bisognerebbe fare una distinzione. E precisamente distinguere il caso, che i colloquianti, Bianchi e Rossi, hanno adottato delle cautele per non farsi sentire, ad esempio si sono messi a parlare a bassa voce in un angolo appartato del ristorante, e il caso in cui , invece, tali cautele non hanno adottato : si sono seduti a un tavolo, con gli altri tavoli vicini occupati da altri avventori che, senza necessità di usare apparecchi sofisticati, potrebbero sentirli. In questo secondo caso io negherei senz’altro la illiceità della intercettazione, nel primo invece la riterrei – ma la riterrei, debbo dire, con una certa titubanza, più che per intimo convincimento, sull’autorità di scrittori più competenti di me, che insegnano che la intercettazione, anche tra presenti, è illecita tutte le volte che si realizza con un mezzo insidioso, cioè tale da superare le difese adottate dai colloquianti per difendere la loro privacy.

 

AB Ma il nostro agente investigativo, che si mette ad ascoltare con apparecchi sofisticati Bianchi e Rossi, che si sono appartati per parlare in segretezza , commette qualche reato, quello di cui all’articolo 617, quello di cui all’art. 615bis?

 

Avv.- No nel caso non vi è materia né per applicare l’articolo 617e seguenti, dato che la conversazione del Bianchi e del Rossi non si svolge per telefono, computer eccetera, e neanche vi è materia per applicare l’articolo 615bis, in quanto la conversazione non si svolge nell’abitazione o in un altro dei luoghi a cui l’articolo 615bis fa riferimento. In realtà il nostro agente ascoltando il Bianchi e il Rossi non commette nessun reato. Però, se si parte dal presupposto che la nostra Costituzione tuteli l’interesse alla riservatezza e che, per l’articolo 191C.P.P., siano inutilizzabili le prove raccolte sacrificando e conculcando un interesse costituzionalmente garantito, si deve concludere che il nastro ottenuto con un mezzo insidioso non è utilizzabile come prova.

 

AB Ma questa non sembra essere la tua opinione.

 

Avv. No, e ne ho spiegato il perché parlando delle registrazioni illecite.

 

 

AB Ora è il momento di passare a parlare delle intercettazioni di comunicazioni fatte a mezzo di telefono, telegrafo, sistemi informatici o telematici.

 

Avv.- Contro la possibilità di tale tipo di intercettazioni il legislatore appresta com’è noto una difesa di carattere penalistico rappresentata soprattutto dai reati previsti dagli articoli 617, 617 bis, 617 quater, 617 quinquies.

 

AB Cerchiamo di dare qualche cenno esplicativo sugli articoli ora riportati. Ho capito che commette reato , non solo chi intercetta una comunicazione telefonica o telegrafica, ma anche chi intercetta un flusso informatico o telematico; ho capito che il Legislatore ce l’ha soprattutto con chi fa l’agente investigativo dato che prevede un’aggravante per le intercettazioni fatte appunto dagli agenti investigativi. Ma alcuni punti mi rimangono non chiari e penso che rimangano non chiari anche ai nostri lettori.

Prima domanda che ti voglio fare: se io compio un’intercettazione vengo punito anche se intercetto una conversazione del tutto innocente ? pensiamo all’esempio prima fatto di Bianchi e Rossi, che non si rivelano l’un l’altro nessun segreto, ma parlano di cose innocue e banali come l’andamento dell’ultima partita di calcio .

 

Avv.- Certamente, si. E questo, prima di tutto, perché il codice penale con gli articoli più sopra riportati non mira solo a tutelare l’interesse, che potrebbero avere, il signor Bianchi e il signor Rossi del tuo esempio, a tenere segrete certe notizie, ma più semplicemente il loro interesse alla riservatezza.

 

Inv- Ma che differenza c’è tra segreto e riservatezza?

 

Avv. Per quanto riguarda al segreto, pensa all’ammontare del tuo conto in banca : tu non vuoi che altri lo conosca perché ciò ti potrebbe danneggiare economicamente. Insomma segreta è la notizia che una persona non vuole rivelare, almeno non vuole rivelare a tutti , perché teme che da tale rivelazione gliene potrebbe venire danno.

 

Inv. E la riservatezza?

 

Avv. Per la riservatezza pensa alle parole che si dicono due innamorati per telefono. Certamente la loro rivelazione non li danneggerebbe economicamente, però potrebbe danneggiare l’immagine con cui vogliono presentarsi al pubblico. Insomma, nella vita noi nascondiamo la nostra profonda identità dietro maschere diverse a seconda delle persone con cui ci relazioniamo. Ci mettiamo la maschera A quando siamo

 

nell’intimità della famiglia, la maschera B quando parliamo col capo-ufficio, la

 

maschera C quando stiamo con gli amici al bar. Ora se il capoufficio ci vede mentre indossiamo la maschera A e non la maschera B, ciò danneggia la nostra immagine: la immagine che vogliamo dare al capo-ufficio. E ciò noi non vogliamo che avvenga, e la legge tutela questo nostro interesse a che ciò non avvenga : in altri termini tutela il nostro interesse alla riservatezza.

 

Inv. Capisco. Ma mettiamo che Bianchi e Rossi non si dicano nulla che debba essere tenuto segreto o riservato: parlano come due persone normali di una partita di calcio.

 

Avv – Ebbene, anche in tal caso, ci sarebbe, ed è giusto che ci sia, un reato : infatti è vero che Bianchi e Rossi non si dicono nulla di segreto o riservato, ma avrebbero potuto dirselo. Insomma c’era il pericolo che tu intercettassi una conversazione segreta o riservata; e basta tale pericolo per giustificare la repressione penale. Del resto, che il nostro legislatore intenda attuare una tutela della segretezza e della riservatezza nelle comunicazioni anche costruendo dei reati di pericolo, risulta pure dalla lettura degli articoli 617bis e 617 quinquies . Tali articoli, infatti, prevedono un’attività preparatoria all’intercettazione e per ciò stesso ancora non lesiva dell’interesse alla segretezza e alla riservatezza , e ciò non pertanto tale attività viene punita. Perché? Perché la sua punizione costituisce una difesa avanzata contro la violazione della segretezza e della riservatezza .

 

AB: Un’altra cosa può non riuscire chiara ai nostri studiosi : il valore e il significato dell’avverbio “fraudolentemente” che si ritrova sia nell’art 617 sia nell’art. 617 quater : il legislatore punisce - non “ chiunque prende cognizione di una comunicazione” - ma “chiunque fraudolentemente prende cognizione di una conversazione”.

 

Avv.- Ebbene, inserendo tale avverbio negli articoli da te citati, è come se il legislatore dicesse all’interprete : “ Bada, per la punibilità del intercettatore non basta che questi abbia volontariamente ascoltato la conversazione altrui, occorre che abbia, volontariamente e proprio al fine di intercettare , compiuto un’attività: ad esempio , una delle attività indicate negli articoli 617bis e 617 quinquies : installazione di apparati, di parti di apparati, di strumenti idonei a permettere l’intercettazione.

 

AB Quindi non commette reato la signora Maria che , alzando la cornetta del telefono , si accorge che , per una qualche interferenza, può ascoltare la conversazione tra altri due utenti, metti tra i signori Bianchi e Rossi dei nostri precedenti esempi, e non abbassa la cornetta, come la correttezza vorrebbe ma si mette, curiosa, ad ascoltare .

 

Avv.- Esatto. E’ così.

 

 

AB Quindi la signora Maria non commette reato neanche nel caso in cui, essendo stata mal riposta la cornetta si mette ad ascoltare quello che uno dei due colloquianti , pensando di non essere ascoltato, dice ad un terzo. Spiego meglio il caso che ti sto proponendo : Pincopallino telefona a Rossi; Rossi si allontana momentaneamente dal telefono riponendo male la cornetta; Pincopallino continua a parlare ( non più evidentemente con Rossi che si è allontanato, ma ) con un amico che gli sta vicino…e naturalmente quel che egli dice all’amico si sente all’altro capo del telefono. A questo punto ti riformulo la domanda : la signora Maria che , trovandosi per caso vicino alla cornetta malriposta, cede alla tentazione di ascoltare , commette reato ?

 

Avv.- Chiaramente, no.

 

AB E se Caio raccatta un cellulare da altri smarrito , il cellulare trilla ed egli si mette all’ascolto, commette reato, ovviamente il reato di cui all’art.617 ?

 

Avv.- Io sarei propenso a rispondere di si ; infatti l’articolo 617 configura come reato, non solo la fraudolenta presa di cognizione di una conversazione telefonica tra due altre persone, ma anche la fraudolenta presa di cognizione di una conversazione, cito le precise parole dell’articolo, “ comunque a lui non diretta”.

 

AB Altra domanda: Rossi trasmette a Bianchi un messaggio via radio: Pinco Pallino, che ne prende conoscenza, commette un reato ?

 

Avv- Se si applicasse l’articolo 623bis del Codice Penale alla lettera, la risposta dovrebbe essere positiva.

 

Inv. In effetti sembrerebbe, leggendo l’articolo 623bis, che commetta reato chi capta una comunicazione via radio anche se questa comunicazione è a onde non guidate. Infatti l’articolo 623bis estende “ a qualunque altra trasmissione a distanza di suoni, immagini od altri dati” le disposizioni relative alle comunicazioni per telefono, computer, eccetera e, come abbiamo visto, tali disposizioni colpiscono la intercettazione di una comunicazione con pena.

 

Avv. Ma se, per l’articolo 623bis commettesse reato chi intercetta una comunicazione via radio – e mi riferisco, ben s’intenda a una comunicazione a onde non guidate –, allora dovrebbe anche ritenersi che commetta reato chi intercetta…i segnali di fumo che due persone, come nei films western, si cambiano da una collina all’altra. Ciò che sarebbe assurdo. In realtà il legislatore non vuole tutelare tutte le comunicazioni, ma solo quelle che i comunicanti hanno la cautela di proteggere dalla curiosità altrui con qualche, sia pur elementare, sistema. Tenendo conto di ciò, io escluderei, che chi intercetta una comunicazione radio a onde non guidate, commetta reato. Del resto, a tale conclusione mi pare che porti in definitiva anche la lettera dell’articolo 623bis.

 

Infatti questo articolo rinvia agli articoli 617 bis e 617quater ed entrambi tali articoli puniscono l’intercettazione solo quando avviene fraudolentemente. Ora è ben difficile che avvenga fraudolentemente una intercettazione, che per realizzarsi non incontra nessun ostacolo.

 

Inv Però una persona potrebbe, non solo intercettare, ma anche impedire e interrompere una comunicazione via radio.

 

Avv. Allora sì, che l’articolo 623bis si applicherebbe. Con tali limiti e in tale senso quest’articolo acquisterebbe un significato e una funzione.

 

AB Ora dobbiamo parlare delle intercettazioni ambientali; cioè delle intercettazioni che, come tu prima ci hai detto , riguardano comunicazioni intervenute in luoghi protetti.

 

Avv. Naturalmente e starei per dire per definizione tali intercettazioni sono illecite. Questo è chiaro , per cui l’unica cosa veramente da dire è in quale reato cade chi le compie.

 

Inv.- Ebbene in quale reato ricade ?

 

Avv. Nel reato di cui all' articolo 615bis.

 

Inv. Noto che c'é un'apprezzabile differenza di pena tra l'art. 615bis e l'art.614 (che punisce la “violazione di domicilio”): infatti, la violazione di domicilio è punita dall’articolo 614 con la reclusione fino a tre anni ( senza che sia posto un minimo sotto il quale il giudice non possa andare), il reato, invece, di interferenza illecita nella vita privata altrui, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

 

Avv.- Giusto . Ma c’è tra i due articoli un’altra differenza ancor più interessante – una differenza che rende necessario appurare bene quando si ricade nell’articolo 614 e quando si ricade nell’articolo 615bis e che interessa soprattutto i nostri amici investigatori privati - : l’articolo 615bis, prevede – mentre invece non la prevede l’articolo 614 – un’aggravante nel caso il reato sia commesso da un investigatore privato. E quest’ultima differenza si spiega col fatto che , sì, il comportamento previsto da entrambi i reati vulnera lo stesso bene : l’intimità del domicilio, ma il comportamento previsto dall’articolo 615bis si attua con l’ausilio di apparecchiature e di strumenti, che, nella forma più sofisticata e pericolosa, fanno parte dell’armamentario degli agenti investigativi.

 

Inv. Risulta chiaro dalla lettura dell’articolo 615bis, che, se l’agente investigativo Rossi, stando fuori del domicilio di Bianchi, capta l’immagine o le parole di Bianchi mentre questi se ne sta tranquillo nel suo domicilio, ebbene il nostro agente

 

investigativo cade nelle ire dell’articolo 615bis.. Ma l’articolo 615bis si applica ancora – o invece si applica il più mite articolo 614 – qualora il nostro Rossi, entrato col beneplacito di Bianchi nel suo domicilio, capti, con un registratore, nascosto metti nella cartella , la conversazione che si svolge tra lui e il Bianchi o tra il Bianchi e una qualsiasi altra persona ?

 

Avv. Si, nel caso si applicherebbe senz’altro l’articolo 615bis; e infatti sarebbe assurdo riservare un trattamento più mite all’investigatore privato che ha agito dentro il domicilio, rispetto a quello che ha agito all’esterno del domicilio. Quel che fa la differenza tra i due reati – i reati di cui all’articolo 614 e 615bis - non è se la violazione di domicilio è fatta da chi sta dentro o all’esterno del domicilio, ma è il modus operandi che segue , gli strumenti che adotta , chi compie la violazione : se egli si serve di “ strumenti di ripresa visiva o sonora” cade nei rigori dell’articolo 615bis.

 

Inv Quindi l’investigatore che registra una conversazione rischia fino a quattro anni.

 

Avv. Si, se la registrazione avviene senza il consenso del registrato e nel suo domicilio. Se, invece, la registrazione fosse fatta in un altro luogo, metti in un bar, chiaramente il reato di interferenza illecita non ci sarebbe.

 

AB Sia come sia. Ma a questo punto mettiamoci a guardare all’argomento da un altro punto di vista. Giusto senz’altro tutelare l’interesse di chi fa una comunicazione; ma vi è anche l’interesse del marito o della moglie a controllare che il coniuge non lo tradisca con altri; c’è anche l’interesse del datore di lavoro a controllare che la collaboratrice domestica non frequenti e non gli porti in casa dei tossicodipendenti, orbene tali interessi , che alla fin fine sono interessi a prevenire un danno, un’offesa che altri ci potrebbe fare, non meritano tutela ?

 

Avv.-. Non spetta a me dire se l’interesse del coniuge o del datore di lavoro a prevenire con un controllo telefonico comportamenti a lui dannosi, meriti o no tutela. Quello che posso dirti é che il nostro Ordinamento giuridico, tale tutela, per nulla concede.

 

AB Bada che io non ti sto chiedendo, se il datore di lavoro, se il coniuge può intercettare una conversazione che la collaboratrice domestica tenga in casa sua ( e non in casa del padrone sospettoso ) o il coniuge tenga nel suo ufficio e comunque fuori del domicilio coniugale : chiaro che, se la moglie sospetta di tradimento, fa una telefonata mentre è in casa della sua amica o quando è nel suo personale ufficio, io, marito geloso non posso intercettare tale telefonata. Io ti pongo un’altra domanda e cioè ti chiedo, se il datore di lavoro, se il marito possono controllare le telefonate che la collaboratrice domestica, la moglie dà usando l’apparecchio telefonico di casa

 

 

(sia ben chiaro, della casa del datore di lavoro ) o usando l’apparecchio telefonico del domicilio coniugale.

 

Avv.- La risposta è sempre , no : se io ho ragione di dubitare che si usi il mio telefono per danneggiarmi o comunque per scopi che io non approverei, io posso interdirne l’uso, ma non posso controllare le telefonate. Nel caso del coniuge, poi, non posso neanche interdirgli l’uso del telefono.

 

AB Quindi il coniuge, il datore di lavoro non può prevenire con opportune intercettazioni della corrispondenza il danno che sospetta gli stia provocando l’altro coniuge, o il collaboratore domestico. Però , almeno , il tutore, l’esercente la patria potestà potrà compiere delle intercettazioni per impedire il danno che il figlio, il pupillo può causare a se medesimo; oppure no ?!

 

Avv.- Certo i genitori, il tutore, avendo il diritto e , più che il diritto , il dovere di educare il figlio e il pupillo , hanno anche il diritto - dovere di vigilare che non si incammini per una cattiva strada ( ad esempio frequentando dei tossicodipendenti ). Però, almeno secondo l’opinione che mi sembra prevalente tra i giuristi, non hanno diritto di operare tale controllo con delle intercettazioni. Infatti si ritiene che tale forma di controllo, consistendo in buona sostanza nello spiare quel che fa il figlio o il pupillo, risulti controproducente e diseducativa.

In buona sostanza si ritiene morale e giusto che lo Stato spii le persone soggette alla sua potestà con delle intercettazioni, ma si ritiene immorale e ingiusto che il padre o il tutore spiino con delle intercettazioni il figlio o il pupillo sottoposto alla loro potestà.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

4 - Prove raccolte con la fotografia


 

Inv -. Parliamo ora delle fotografie, intese in senso tanto lato da ricomprendere nel termine anche le riprese di film e televisive. Sono esse lecite ? è lecito fotografare, riprendere con una macchina da film una persona ( senza il suo consenso ) ?


 

Avv- Secondo i più autorevoli studiosi della materia , si, è lecito fotografare , riprendere una persona, purché essa si trovi in un luogo in cui è esposta alla vista di tutti.


 

AB - E tu che ne pensi?


 

Avv.- Francamente a me sembra un po’ semplicistico dire che, se uno consente a farsi vedere, consente anche a farsi fotografare. In realtà vi è un salto qualitativo tra il vulnus, la lesione alla privacy, che comporta lo sguardo distratto di chi, come noi, passeggia per la strada e il vulnus rappresentato da una fotografia. Inoltre, chi fa una fotografia, ben difficilmente la fa per tenersela nel portafoglio e guardarsela da solo .


 

AB E se anche così fosse; non sarebbe , questa , una cosa che tutti gradirebbero.


 

Avv. Certo che no: vi è una istintiva riluttanza di qualsiasi, uomo o donna, a permettere il possesso della sua fotografia da parte di un estraneo. Riluttanza che un antropologo valente come il Bronzini spiegava , in un suo scritto del 91, col fatto che, nella sua fotografia e più in genere nel suo ritratto, una persona è portata vedere un suo alter ego , una sorta di suo doppione ; cosa per cui finirebbe per influenzarla chi agisse, concentrasse i suoi pensieri sulla fotografia, sul ritratto. E val la pena qui di ricordare , quel che il Levi, in una bella pagina del suo celebre Cristo si è fermato a Eboli, racconta su una donna, un po’ maga, Giulia, che non voleva da lui lasciarsi ritrarre temendo l’influenza, ch’egli avrebbe potuto acquisire su di lei tramite il ritratto.


 

AB Ma lasciamo stare l’antropologia e torniamo al diritto : dicevi che chi fa una fotografia ben difficilmente la fa per tenersela nel portafoglio.


 

Avv.- Certo che no : il più delle volte, chi fa una foto la fa per mostrarla ad altri o addirittura per pubblicarla.

 

AB - Ma l’esporre e il pubblicare l’immagine altrui non costituisce un illecito?


 

Avv.- Certo che sì, costituisce un illecito come tale previsto e represso dall’articolo 10 del Codice Civile e dall’articolo 96 delle legge sul diritto d’autore.


 

In.- Dicevi che di solito il fotografare una persona è il primo passo verso quell’abuso che è la esposizione o pubblicazione della foto.


 

Avv.- Si, e quindi sembrerebbe opportuno bloccare chi compie questo primo passo prima che possa compiere il secondo. Perché una volta compiuto questo secondo passo, una volta cioè esposta o pubblicata la foto, il danno in gran parte è fatto e può essere difficile rimediarvi.


 

Inv. Ho capito, se tu fossi il legislatore tu riterresti illecito anche il comportamento di chi fa una fotografia. Però tu non sei il legislatore e a noi interessa sapere quel che pensa il legislatore e non tu. Con tutto il rispetto, ben s’intende : non ti offendere.


 

Avv. No, non mi offendo e rispondo alla tua domanda : no, il legislatore non sembra volere tutelare quell’interesse a non essere fotografi senza il proprio consenso di cui ti parlavo.


 

Inv. Quindi un investigatore può scattare fotografie dove e come gli piace.


 

Avv.- Alt, non è per nulla così. Egli può fotografare quando : primo, non viola una norma penale – e questo, vale sia per un investigatore sia una persona qualsiasi; secondo, non viola le norme sulla privacy. Perché le norme della privacy - che a chi fa fotografie per uso personale non si applicano – all’investigatore privato, invece, si applicano E le norme sulla privacy quell’interesse a non essere fotografato di cui ti parlavo prima, lo prendono bene in considerazione. Infatti permettono il “trattamento” di un “dato” solo a certe condizioni.


 

In.- Ma il fare una fotografia, significa raccogliere un “dato”, voglio dire un “dato” rilevante per la tutela della privacy ? mi pare esagerato!


 

Avv. Invece non è per nulla esagerato o eccessivo. Pensa alla fotografia di Caio, mentre, metti, è genuflesso in un tempio buddista insieme a una bella signora bionda : quante notizie questa fotografia ti dà! Una addirittura di carattere sensibile e cioè appartenente a quella categoria di notizie che il codice della privacy vuole circondate da particolari cautele.


 

Inv A che cosa ti riferisci?


 

Avv. Mi riferisco al fatto che Caio è ripreso in un tempio buddista, ciò che lo indica come almeno simpatizzante del buddismo.


 

Inv – Non ci avevo pensato ; ma proseguo il discorso : dicevi che l’agente investigativo già nel momento in cui fotografa una persona inizia un trattamento, dato che già in quel momento raccoglie un dato o una notizia. Ma ciò cosa comporta in pratica?


 

Avv. Comporta che l’investigatore prima di fare la fotografia, prima cioè di raccogliere il “dato”, deve chiedere il consenso della persona che sta per fotografare.


 

Inv. Vuoi dire che se io voglio fotografare una bella ragazza sulla spiaggia debbo per legge chiederle prima il consenso ‘


 

Avv. No, tu non sei per legge obbligato a ciò ( per cortesia, e buona creanza, si, ma questo è un altro paio di maniche!). Infatti tu fai la fotografia a uso personale. Però l’investigatore invece obbligato lo è.


 

Inv Tanto vale dire agli investigatori privati : “Chiudete bottega”! Che investigazioni possono fare se mettono sull’avviso l’investigato?! La legge è veramente pazza.


 

Avv. No, è saggia; perché si fa carico della tua osservazione e prevede un’eccezione alla richiesta del consenso, per l’ipotesi che la notizia, il “dato” sia raccolto ( alias, la fotografia sia scattata ) ai fini della difesa in un processo penale o dell’esercizio di un diritto in un processo civile o penale. Come abbiamo meglio spiegato parlando delle intercettazioni.


 

Inv.- Quindi nell’ambito delle investigazioni difensive relative a un processo penale, io, investigatore, se , come già ci hai spiegato, sono un “investigatore autorizzato” e ho l’incarico del difensore, posso fare quante fotografie voglio senza chiedere il consenso della persona fotografata ?


 

Avv. No: ciò non sarebbe esatto. Infatti il codice della privacy ammette il trattamento di un dato o di una notizia solo se è stato raccolto lecitamente.


 

Inv. Ma quando una fotografia è raccolta, fatta lecitamente?


 

Avv. La risposta ti viene (soprattutto) dall’articolo 615bis C.P. Quando lo leggi poni attenzione sia sul fatto che l’interferenza può avvenire tanto con uno strumento di ripresa visiva quanto con uno strumento di ripresa sonora, sia sul fatto che la ripresa per essere punibile, deve avvenire “indebitamente”, sia infine sul fatto che la ripresa, sempre per essere punibile, deve riguardare, per usare sempre le precise parole della legge , “notizie o immagini attinenti alla vita privata”.


 

Inv. – Nelle “immagini attinenti alla vita privata” debbono farsi rientrare anche quelle relative ai mobili, ai quadri, insomma alle cose inanimate contenute in una casa ? Ad esempio, se io scatto la fotografia di un quadro o, caso più interessante, di un documento contenuto nel domicilio altrui, commetto il reato di cui all’articolo 615 bis?


 

Avv. Naturalmente ci mettiamo nel caso in cui tu scatti la fotografia contro la volontà espressa o tacita di chi avrebbe diritto di impedirtelo, del padrone di casa cioè.


 

Inv. Esatto, le tue parole, ricalcate su quelle dell’articolo 614, l’articolo gemello, diciamo così, dell’articolo 615bis, fotografano, qui la parola cade a pennello, esattamente il mio pensiero.


 

Avv. Ebbene la risposta alla tua domanda deve essere positiva : certamente Sherlock Holmes che nascostamente fotografa il documento contenuto nella scrivania del suo ospite commette il reato di cui all’art.615bis, il reato di interferenza illecita nella vita privata altrui.


 

Inv.- Questo perché Sherlock Holmes usa per carpire i segreti altrui la macchina fotografica. Mentre se io arrampicandomi su un albero guardo a occhio nudo oltre il muro di cinta di un giardino e vedo il proprietario che si sbaciucchia con quella tale attrice, non commetto il reato di interferenza illecita nel domicilio altrui. Ho capito bene ?


 

Avv.- Hai capito benissimo. E guai a noi se fosse il contrario : mezza Italia si troverebbe in carcere : chi non ha ceduto nella sua vita alla tentazione di dare un’occhiata oltre la siepe del vicino?!


 

Inv. Altra domanda: se io, invitato a una festa, mi metto a fotografare un altro convitato, metti un’attrice famosa, cado nel reato di cui all’articolo 615bis ?


 

Avv. Direi proprio di si, se fai la fotografia contro il consenso espresso o tacito del padrone di casa.


 

Inv – Non dell’attrice?


 

Avv. No, ai fini della configurabilità del reato di interferenza illecita nella vita privata altrui, rileva il consenso di chi avrebbe il diritto di escluderti dalla casa, non di un ospite della casa. E mutatis mutandis ciò va ripetuto per il diritto a querelarsi : questo spetta al padrone di casa, non all’ospite.


 

Inv. Ma scusa, non è l’attrice a essere lesa nel suo diritto alla riservatezza ?


 

Avv. No, né più né meno di quanto lo sarebbe se fosse stata fotografata in un luogo pubblico o aperto al pubblico. Insomma l’attrice il suo diritto alla riservatezza se lo è lasciato alle spalle quando è uscita dalla porta della sua casa, del suo domicilio.


 

In. Ma quando è stata fotografata l’attrice si trovava pur sempre in un domicilio..


 

Avv. Si, ma non nel suo domicilio ma in un domicilio altrui. Quando tu accetti l’ospitalità di una persona , rimetti a questa la tutela della tua riservatezza. E, se questa tutela il tuo ospite non te la procura, non hai che da lamentarti della sua scortesia e della sua scorrettezza : certo non potrai querelarti contro chi , il tuo interesse alla riservatezza, viene a ledere.


 

Inv. – Stessa soluzione, penso, se il paparazzo fa la foto in un ristorante o in un bar.


 

Avv. Si, stessa soluzione. Il reato ci sarà solo se la fotografia sarà stata scattata contro la volontà espressa o tacita del gestore del ristorante e del bar ( il che non sarà facile da provare per la pubblica accusa!).


 

Inv Ma almeno il fotografato potrà sporgere denuncia per molestie?


 

Avv. Se ne sussistessero gli estremi, naturalmente, si.

Inv. Un’altra domanda sempre per capire in che limiti la ripresa visiva o sonora di una persona ricada sotto i rigori dell’articolo 615bis. Il signor Rossi e la signora Rossi si stanno sbaciucchiando sulla terrazza della loro casa : posso dall’esterno fotografarli?


Avv. La risposta è , si; se essi potrebbero essere visti dall’esterno a occhio nudo. Se ogni persona che passa per la strada o sta in piazza può vedere Marieto e Mariolina che si baciano, evidentemente assurdo diventa parlare di una tutela della loro privacy : a questa chiaramente essi hanno rinunciato esponendosi alla vista di tutti.

Inv.- Parliamo ora delle videoregistrazioni. Abbiamo visto che uno può in luogo pubblico fare liberamente delle fotografie e in luogo privato può farle solo con i limiti che gli potrebbero derivare da una contraria volontà del dominus loci. Il che vuol anche dire che il gestore di un hotel o di un bar, che volesse mettersi a fare fotografie ai suoi clienti nel suo locale lo potrebbe fare senza commettere nessun illecito, almeno penale. Lo stesso può ripetersi per le videoriprese ? Insomma il direttore di una banca, di un hotel può mettere nei locali della banca, dell’hotel degli apparecchi di videoripresa con la stessa libertà con cui potrebbe in quei locali fare delle fotografie ‘

Avv. No, nel caso il direttore incontrerebbe vari limiti - limiti posti da norme di legge e soprattutto da provvedimenti del garante della privacy.

In. Perché questo ?

Avv. Perché la ripresa televisiva , e mi riferisco soprattutto alla ripresa televisiva occulta , lede l’interesse alla privacy in modo molto più incisivo della foto. Infatti la persona, che sa di esser presa di mira da un fotografo, se non altro è in grado di darsi un contegno, di evitare gesti e posture antiestetiche e imbarazzanti : se aveva le dita nel naso, se le toglie. Invece, chi è ripreso a sua insaputa, in un momento di relax in cui , specie quando si trova in un locale in cui si svolge la sua vita intima, si crede fuori dell’attenzione altrui, può abbandonarsi a gesti e posture imbarazzanti e antiestetiche.

Tutto questo spiega perché vi siano stati anche interventi normativi per porre limiti e condizioni alle videoregistrazioni.

 

AB Certo, sì, ricordo bene le disposizioni ad hoc inserite nello Statuto dei lavoratori. Però in esse forse lo scopo di tutela della privacy è secondario.

S Forse è secondario, però esiste. Va inoltre messo in rilievo, a dimostrazione di come dallo Stato sia ben avvertita la particolare invasività delle riprese televisive occulte , l’intervento in materia di videosorveglianza del Garante della privacy. Questi – mi pare su sollecitazione di vari Istituti di credito – ha fatto nel 2004 un regolamento che enuncia i limiti e le condizioni a cui la videosorveglianza è subordinata. In particolare da tale regolamento risulta che la videosorveglianza può essere adottata solo per scopi leciti, solo se tali scopi leciti non possono essere raggiunti con altro mezzo, solo se vi è una proporzione tra il sacrificio della privacy che la videosorveglianza comporta e il bene che permette di conseguire, solo se il pubblico è avvertito della sorveglianza video.

AB Ma quest’ultima condizione è assurdo imporla a chi svolge un’attività di investigazione privata.

Avv.- E infatti non gli viene imposta o, almeno, non gli viene imposta sempre : è chiaro che, alla regola della così detta “avvertibilità” della installazione, deve farsi eccezione per quel che riguarda le installazioni di una videosorveglianza, che hanno per scopo l’acquisizione di una prova e che per raggiungere tale scopo hanno bisogno della sorpresa.

AB Lasciamo perdere i requisiti della liceità e della necessità della videosorveglianza, dato che il loro significato è intuitivo. Dicci invece qualcosa sul requisito della proporzionalità della videosorveglianza: in pratica che implica ?


Avv.- Implica, ad esempio, che, se il gestore di un bar ti dà incarico di accertare se alcuni suoi avventori hanno relazioni omosessuali nel bagno, tu non puoi mettere nel bagno sospetto una telecamera. E infatti troppo massiva sarebbe in tal caso la lesione alla privacy rispetto al risultato probatorio che si vuole raggiungere. Invece, potrai installare delle telecamere che riprendano un luogo pubblico o aperto al pubblico : una strada, una piazza.

Inv - Colleghiamo ora l’argomento che stiamo trattando con quello delle investigazioni difensive: il difensore e per lui l’agente investigativo, non possono mettere nel domicilio altrui un apparecchio di ripresa visiva, neanche con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria? E ho fatto l’esempio dell’apparecchio di ripresa visiva perché stiamo parlando di riprese televisive e di fotografie, ma avrei potuto anche fare l’esempio dell’apparecchio di ripresa sonora.

 

Avv.- Assolutamente, no. Con la autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria il difensore, e, con lui, l’agente investigativo, possono solo entrare in un luogo, sì, privato o non aperto al pubblico, ma che non sia domicilio di qualcuno. Pensa ad esempio ad un’autorimessa, a un fondo recintato. Tutto ciò risulta ti risulta dall’ articolo 391 septies del codice di procedura penale.

AB La ultimissima domanda : mettiamo che, bene o male che abbia fatto, l’agente investigativo tal dei tali abbia scattato una foto quando scattarla era illecito: può ciò nonostante la foto, il filmino essere prodotto come valida prova in un processo ?

Avv.- Chi dice di si, chi dice di no. Io riterrei preferibile la risposta positiva e questo per i motivi già da me esplicitati parlando della prova illecita.