Enciclopedia giuridica del praticante

 

Lezioni di procedura civile

Lezione 7 - Pluralità di domande e valore della causa

Doc. - Poniamo che Bianchi proponga al giudice, non una, ma due domande: la domanda A del valore di 100 e la domanda B del valore di 10 – due domande, però, tra di loro dipendenti, nel senso che un errore del giudice nella soluzione delle questioni, di fatto o di diritto, attinenti alla prima domanda A, e comportante, di tale domanda A, il rigetto, comporta anche il rigetto della domanda B . Così come può essere nel caso Bianchi chieda che Rossi sia condannato a restituirgli la somma di 100 e altresì a pagargli 10 a titolo di interessi per la ritardata restituzione di tale somma: chiaro che il giudice che erroneamente nega la somma di 100, nega anche gli interessi, la somma di 10 .

Quesito che pongo al tuo buon senso e alla tua intuizione: in un tal caso, il valore della causa, ai fini della competenza, va ritenuto pari alla somma dei valori delle due cause, A e B (per cui valore della causa = 110) oppure solamente pari al valore della domanda più rilevante, la domanda A (per cui valore della causa = 100) -?

Disc.- Io direi che va ritenuto pari a 110, cioé alla somma dei valori delle due cause . Infatti un eventuale errore del giudice relativo alla prima domanda A, determinando inevitabilmente un’erronea decisione anche della domanda B, provocherebbe un danno pari, non a 100, ma a 110 .

Doc.- E certamente questa tua risposta é, di massima, giusta (anche se necessita di qualche chiarimento che mi riservo di fare in seguito) ; e trova perfetta rispondenza nell’articolo 10 del codice che – dopo aver detto nel suo primo comma (che ci riserviamo di approfondire dopo) che “Il valore della causa ai fini della competenza si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti” - nel suo secondo comma recita: “A tale effetto le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro e gli interessi scaduti le spese e i danni anteriori alla proposizione si sommano col capitale” .

Disc.- Però il disposto dell’articolo 10 va oltre a quanto da me affermato: io ho detto che il valore della causa é dato dalla sommatoria dei valori delle domande, quando queste sono tra di loro dipendenti . E non mi sembrerebbe, invece, giusto procedere a tale sommatoria quando le domande, dipendenti, tra di loro non sono: se Bianchi chiede che Rossi sia condannato a rimborsargli il mutuo di 100 (domanda A) e a pagargli altri 100 a titolo di prezzo di un quadro che gli ha venduto, perché ritenere il valore della causa uguale a 200? Non c’é ragione: infatti un errore del giudice relativamente alla domanda A determinerebbe solo un danno di 100 (e non di duecento).

Doc.- La soluzione da te adottata (nessuna sommatoria dei valori delle domande tra di loro indipendenti) é effettivamente conforme alla logica, ma non é adottata dal legislatore in considerazione delle difficoltà che la sua adozione comporterebbe: infatti é tutt’altro che facile individuare, all’inizio della causa, le questioni rilevanti per la decisione (sulle domande in tale causa proposte): spesso la rilevanza di una questione si rivela solo in seguito ad una laboriosa e approfondita istruttoria, per cui, imporre al giudice al giudice di decidere sulla competenza, in base al fatto che le varie domande abbiano, o no, tra di loro in comune una qualche questione A (per cui l’errore su tale questione A si riverbererebbe su tutte le domande) significherebbe imporgli di concentrare all’inizio della causa quel lavoro....che invece va distribuito in tutto il corso del processo !

Vero é che, proprio perché la regola stabilita nell’articolo 10, ha in sé qualche cosa di illogico, ad essa Dottrina e Giurisprudenza fanno numerose eccezioni.

E così si ritiene che, la somma dei valori delle domande proposte, non va fatta (ai fini di determinare il valore della causa):

A) quando le domande sono proposte le une dall’attore e le altre dal convenuto: Bianchi propone una domanda del valore di tremila euro contro Rossi e questi a sua volta propone (nello stesso processo) una domanda contro Bianchi del valore di duemila euro: il valore della causa è = tremila euro (e non cinquemila euro);

B) quando le domande, proposte originariamente in maniera autonoma dando così luogo a autonomi processi, vengono riunite nello stesso processo per essere decise dallo stesso giudice: Bianchi domanda quattro mila al giudice Primus con citazione fatta il 1 aprile, poi domanda tre mila al giudice Secundus con citazione fatta il 1 maggio: se le due domande vengono riunite in una sola causa, il valore di questa é di quattromila ;

C) quando, pur essendo la domanda B dipendente dalla domanda A (nel senso che un errore relativo a questa si riverbera inevitabilmente su quella), il suo rigetto (idest, il rigetto della domanda B) non aumenta il danno provocato dallo (erroneo) rigetto della domanda A.

Disc.- Qui ci vuole un esempio.

Doc.- Pensa al caso in cui Bianchi domanda (domanda A) che il coerede Rossi sia condannato alla collazione (art.737 ss) dell’immobile tal dei tali e poi ulteriormente (domanda B) che si faccia la divisione di tale immobile: se il giudice (erroneamente) rigetta la domanda di collazione A, deve inevitabilmente rigettare la domanda di divisione B (anzi, al vero, neanche deve pronunciarsi su di essa) ma ciò (idest, il rigetto della domanda di divisione) in nulla aumenta il danno che Bianchi ha già subito per il rigetto della domanda di collazione . Val la pena di dire che il caso in esame viene dagli studiosi catalogato col nome di “ condizionamento improprio tra due domande” .

Disc.- Se ci sono dei casi di “ condizionamento improprio” ce ne saranno altri di “condizionamento proprio”.

Doc.- Ci sono infatti, ma di essi veniamo a parlare a parte perché, anche se pure in tali casi le domande A e B non si sommano, ciò avviene, non perché il rigetto della domanda B non aggiunga altro danno al rigetto della domanda A, ma perché l’errore, che ha influito sul rigetto della domanda A, non si riverbera sull’errore, che porta al rigetto della domanda B. E con ciò passiamo subito all’esame dell’ipotesi D (di deroga all’art. 10) .

D) (si ha altra ipotesi in cui le domande non si sommano) quando, come si diceva, vi é tra le due domande il c.d. “condizionamento proprio”, di cui é esempio il seguente caso: Bianchi domanda (domanda A) la rescissione per lesione (art. 1448 C.C.) del contratto con cui ha venduto a Rossi per tremila quel che valeva ottomila, e, in subordine (domanda B), che Rossi sia condannato a pagare il prezzo (di tremila) pattuito. E’ chiaro che in questo caso, se il giudice, dopo aver rigettato per errore la domanda A, rigetta ancora per errore la domanda B, aggiunge danno a danno (non solo Bianchi non ottiene ingiustamente la rescissione del contratto, ma non ottiene neanche il prezzo pattuito !). Ciò nonostante le due domande non si sommano, dato che, l’errore che può portare al rigetto di una, non porta necessariamente al rigetto dell’altra (e quindi se il giudice rigetta le due domande é perché è caduto in due diversi, indipendenti errori: metti ha rigettata, la domanda di rescissione A, perchè ha erroneamente escluso lo “stato di bisogno” e ha rigettata, la domanda di condanna B, perché ha ritenuto già pagato il prezzo).

Le osservazioni ora fatte per le domande legate da un “condizionamento proprio” (più semplicemente dette “domande subordinate”) possono, mutatis mutandis ripetersi per le c.d. “domande alternative” (Bianchi domanda l’annullamento del contratto o, in alternativa, il pagamento del prezzo).

Disc.- Fino ad adesso siamo partiti dal presupposto che le due domande A e B siano di quelle il cui giudice (competente a giudicarle) si individua in base al valore della domanda stessa: che dire nel caso al giudice Primus venisse proposta la domanda A, di cui é competente per valore, e la domanda B (di cui, invece, é competente per materia)? le due domande si sommano?

Doc.- E come potrebbe essere, se della domanda B non si conosce il valore? Chiaramente le due domande non si possono sommare . E ciò significa, ad esempio e a mio modesto e senza dubbio discutibile parere, che, una volta stabilito che le due domande, A e B, possono essere proposte nello stesso processo (questa é l’operazione preliminare da farsi!), la causa (che le contiene) é da considerarsi di competenza del giudice di pace anche se la domanda A ha il valore di cinquemila euro (cioé tocca il tetto della competenza per valore del giudice di pace – vedi melius l’art.7), se l’altra domanda, la domanda B, al giudice di pace, é attribuita ratione materiae .

Disc.- Quid iuris se Tizio propone al giudice di pace due domande, A e B, la prima del valore, metti, di cinquemila euro, la seconda di valore determinabile ma di fatto non determinato (nulla dice l’attore sul valore di tale domanda – vedi co.1 art.14 – nulla contesta il convenuto – vedi comma 2 stesso articolo 14)?

Doc.- Il valore della domanda B si considererà pari al massimo del valore della competenza del giudice di pace, con la conseguenza che, dovendosi sommare i valori di A e B, inevitabilmente la somma così calcolata farà superare la competenza del giudice di pace . Questo a meno che l’attore abbia avuta l’avvertenza di apporre la c.d. “clausola di contenimento”: “Io, attore, voglio che il valore della domanda B sia contenuto in limiti tali che, pur sommandolo con quello della domanda A, la competenza del giudice di pace non sia superata”.

A questo punto, riservandoci di ritornare all’articolo 10 per altre osservazioni, é opportuno passare all’esame dell’articolo 11, dato che esso prevede ipotesi assai simili a quelle delle domande “dipendenti”, su cui ci siamo prima soffermati .

Tale articolo - sotto la rubrica “ Cause relative a quote di obbligazioni tra più parti” - recita: “ Se é chiesto da più persone o contro più persone l’adempimento per quote di un’obbligazione, il valore della causa si determina dall’intera obbligazione” .

Disc.- Dunque, se ho capito bene, qualora Bianchi, che aveva un credito di 300 verso Rossi, convenga in giudizio i tre eredi di questi: A, B, C, domandando a ciascuno di loro euro 100, il valore della causa, non é di 100, ma di 300 . La cosa mi pare logica: infatti, é vero che, se il giudice ritiene per errore l’esistenza del credito preteso da Bianchi, prima contro Rossi, poi, contro i suoi eredi, ciascuno di questi subisce un danno di soli 100 euro ; ma é anche vero che se il giudice, sempre per errore, non ritiene l’esistenza del credito vantato da Bianchi verso il de cuius Rossi, - credito che é il presupposto comune dei tre crediti vantati, verso i coeredi, da Bianchi – questi subisce un danno di 300 euro.

Doc. L’interpretazione da te data é senz’altro giusta e per arrivarci tu, evidentemente, hai fatto il ragionamento: il giudice, per decidere sull’esistenza di ciascuno dei tre crediti vantati da Bianchi verso i coeredi di Rossi (il credito verso l’erede A, il credito verso l’erede B, il credito verso l’erede C) deve risolvere un’identica questione (la questione dell’esistenza o meno del credito vantato da Bianchi verso il loro de cuius Rossi), di conseguenza una sua risposta erroneamente negativa a tale questione (“No, il credito verso il Rossi non esisteva”) pregiudica, negativamente per l’attore Bianchi, le tre domande e gli causa un danno di 300 .

Orbene, per dimostrarti i tranelli che può riservare il nostro codice di procedura, io ora ti pongo la domanda: é lecito dedurre dall’articolo 11, così come é stato giustamente interpretato da te, la conclusione, che le domande proposte da un attore verso due o più convenuti si sommano, se la loro decisione dipende dalla soluzione di un’identica questione (di diritto o di fatto) -?

Disc.- La logica mi pare imponga di dare al tuo quesito una risposta positiva: si, qualora Bianchi chieda contro Primus, 100, contro Secundus, cento, contro tertius, cento, e l’accoglimento di tali tre domande implichi la soluzione della stessa questione A, va fatta la sommatoria delle tre domande e il valore della causa va ritenuto pari a 300 .

Doc.- E invece no: tu sbaglieresti facendo la sommatoria . La disposizione dell’articolo 11 va considerata di carattere eccezionale e quindi non può essere analogicamente applicata . Infatti, se per regola si ammettesse la soluzione che tu proponi, e cioé che basti l’esistenza di una questione comune a più domande per imporre la sommatoria dei loro valori (ai fini della competenza), si avrebbe l’inconveniente di un’accentuata incertezza nella determinazione del giudice competente per una causa .

Disc.- Perché mai?

Doc.- Perché, e lo abbiamo già visto, le questioni (di diritto e di fatto) che al giudice si pongono per la decisione (sulle domande a lui proposte), non sono immutabili: la questione A, che si pone all’inizio della causa, può, nel corso di questa, essere superata e sparire nel nulla e, viceversa, la questione B, non ancora emersa all’inizio della causa (cioé nel momento in cui la competenza del giudice dovrebbe stabilmente essere individuata !) può rivelarsi solo alla fine del processo .

Disc.- A questo punto, commentato l’articolo 11, passiamo a commentare l’articolo 12,

Doc.- No, prima di parlare dell’articolo 12, dobbiamo parlare di due principi importanti: quello dell’economia processuale e quello della perpetuatio jurisdictionis e, in più, dobbiamo tornare a esaminare l’articolo 10: solo allora avremo acquisiti gli elementi per comprendere l’articolo 12 .